- 28 - La cosa invece non passò liscia alla comparsa delle « Prose » del Bembo. Un Pellegrino Moretto andò spargendo che il Bembo avesse furate alcune poche cose al Fortunio. Il Bembo, che già aveva accusato di plagio il Calmetta (Lett. a M. Trifon Gabriele da Roma, 1 apr. 1512), così rispose a Bernardo Tasso, che l’aveva informato dell’accusa del Pellegrino (Lett. 27 maggio 1529, di villa): «Quanto al Maestro Pellegrino Moretto, che ha segnate le mie « Prose » con le parole ingiuriose che mi scrivete, potrete dirgli, che egli si inganna. Perciocché se ad esso pare che io abbia furato il Fortunio, perciò che io dico alcune poche cose, che egli avea prime dette, egli nel vero non è così. Anzi le ha egli a me furate con le proprie parole, con le quali io le avea scritte in un mio libretto forse prima, che egli sapesse ben parlare, non che male scrivere, che egli vide ed ebbe in mano sua molti giorni. Il qual libro io mi proffero di mostrargli ogni volta, che egli voglia, e conoscerà se io merito esser da lui segnato e lacerato in quella guisa. Oltre a ciò io potrò farlo parlar con persone grandi e degnissime di fede, che hanno da me apparate e udite tutte quelle cose, delle quali costui può ragionare, di molti e molt’anni innanzi che il Fortunio si mettesse ad insegnare altrui quello che egli non sapea». Anche un Gio. And. Garisendo, in una lettera al Bembo, accusa il Fortunio di plagio1): «De’ quali (regolamenti della lingua) direi essere stato primo datore il giudizioso M. Giovanni Francesco Fortunio, se ’1 manifesto furto alla volgar Grammatica del primo di lei svegliatore Bembo delle intese carte fatto non lo mi vietasse. La quale perchè forse in brieve colla accusazione verrà a luce, di leggieri mi passo. Di tanto solamente facendo ciascheduno attesto, che quello che esser uccello di Giunone parve, corvo nel vero fue. Il quale se pure con sua voce in qualche luogo arà striduto, con modesta castigazione a cantar meglio l’aiuteremo, acciocché la voce con l’occhiute piume si confaccia». Io credo che quest’ accusa sia senza fondamento. È vero che il Bembo cominciò a scrivere le Prose ancora nel 1500 (Lett. amor. 55), ma appena nel 1512 aveva terminato i due primi libri, che mandò, a Venezia, a Trifon Gabriele, acciocché gli amici ne dicessero il loro parere, ma non li facessero vedere ad alcuno {Lett. di Roma, 1 aprile 1512), nè parlassero con alcuno della loro contenenza, perchè c’erano alquanti, che scrivevano della lingua volgare, e non mancavano in ogni luogo i Calmetti, cioè i plagiari. Malgrado però tante precauzioni il ') < Lettere di diversi eccellentissimi signori a diversi huomini scritte ». in fine: Francesco Sansovino. Sarebbe interessante conoscere la data di quella lettera, perchè pare che sia stata scritta prima della pubblicazione delle « Prose » del Bembo.