— 39 — stesso più volte m’avete detto, meritano non solo riguardo per la loro sventura, ma non pochi pe’ pregi della mente e dell’ animo riverenza. I quali dovrebbero col nome loro coprire i non degni se ce ne fosse ; ma non credo ce ne sia, che già non ci potrebbero rimanere. Il pretesto colto di qualche Italiano che dicesi serva al Turco, come se anco Greci non gli servissero, dovrebbe accrescere rispetto a coloro che mostrano di sentire altrimenti, nè certo potrebbe far dimenticare il sangue sparso da più d’un Italiano in prò della Grecia, e 1’ ospitalità a’ Greci data dagl’ Italiani anche preti, e le parole affettuose che in Italia suonarono della Grecia, e le cure ivi date a raccorre in onore de’ greci letterati memorie, e in onore del popolo greco i suoi canti. E se fosse, in mezzo a tanti dolori che premono ciascuna nazione, conforto l’andarne numerando le piaghe, troverebbesi che ciascheduna ha le sue, qual più gravi, spetta a Dio, non agli uomini, giudicare. Se i Greci sono migliori, rispettino appunto perchè migliori ; se sono più gloriosi e più fortunati, sieno ad altrui liberali, se della fortuna non possono, dell’ onore. Gli esuli italiani non chieggono che l’acqua e la terra, non al modo del re Persiano; non la richieggono in tributo, la pagano. E se agli oltraggi che da taluni vengono ricevendo, rispondono col silenzio, non è da sprezzarli però del riguardo eh’ egli hanno ai molti sui quali cadrebbe la vendetta dei provocatori che si fingerebbero provocati. Voi che conoscete l’Italia, e che ci avete amici, ed estimatori, se non più veggenti, certo non meno riverenti de' vostri concittadini stessi, voi potete ben dire che atti tali non provano gran fatto nè umanità nè coraggio ; potete insegnare che l’odio non è dogma nella fede ortodossa. Non istà a me additare a voi i modi del rendere coll' autorità del vostro nome giustizia agli assaliti da una animosità, che si fa davvero collegata del Turco, e non pensa che tra gl’infelici che di qui passarono, e che qui patiscono non curati, può essere taluno il quale abbia mente e coscienza e parola da giudicare i suoi insultatori e additarli, ovunque siano popoli colti, alla indignazione delle anime generose. Per iscrivervi mi è forza servirmi d’altra mano, ma mano fidata. Donate la libertà di questo lamento all’ affetto da voi dimostratomi, il quale io vi prego, segnatamente adesso, di stendere a tutti coloro a’ quali il nome dell’ Italia può essere immeritato dolore o danno non giusto. Addio di cuore Vostro Tommaseo autorevole venne, e disse che la mia lettera era una nobile lettera, il che pareva suonasse che le cose in lei detestate erano ignobili cose e che nobil cosa farebbe chi le impedisse e si adoperasse ad antivenire disgrazie peggiori. Ma egli, che pure sa scrivere, nè scrisse in privata lettera quella parola, nè ci consenti per istampa ».