- 278 - a stampa e, cosa molto più importante, con lettere di lui o a lui dirette (che sono più di cinquantaseimila), e con un' altra quantità imponente di materiale documentario, spesso inesplorato. Obiettivo sempre e attento nel valutare i fatti che concernono la sua indagine, il Prunas assolve mirabilmente il compito di iniziare, di preparare il lettore ad un equanime giudizio dell’ opera del Tommaseo, dando rilievo agli intendimenti coi quali il Tommaseo la scrisse, e soprattutto l’animo e il cuore con cui la scrisse; e se lo difende da molte accuse, se giustifica alcuni suoi giudizi aspri e crudi su uomini e fatti, e alcuni suoi atteggiamenti, non tace le sue palesi ma involontarie ingiustizie, o, se si vuole, malignità, le sue deficienze, i suoi vizi, derivanti non da invidia od ambizione, come troppo spesso è stato asserito, ma in parte da quel tormentato suo spirito « scisso nella vita intellettuale e morale », molto da quel bisogno quasi brutale di sincerità che lui, portato a giudicare gli uomini non per quel che sono, ma per quello che dovrebbero essere, lui appassionato e violento amatore del meglio, induceva talvolta a mostrare una cruda intransigenza o, peggio, una capacità tremendamente demolitrice. Questo libro, come del resto ogni altro suo, ma questo forse più di ogni altro, fu per il Tommaseo una liberazione: il suo spirito crucciato potè placarsi in una breve tregua del suo interiore travaglio, quand’egli potè finalmente sfogare l’incoercibile bisogno di dire la sua verità sulle vicende fortunose di Venezia. Da questa il Tommaseo era uscito fiaccato da quasi venti mesi di sofferenze materiali e morali; deluso profondamente per la resa che egli avrebbe voluto protratta più a lungo ed anche altrimenti trattata, ma che, comunque, « il popolo di Venezia non aveva nè chiesta, nè nelle forme imposte accettata, ma sottomessocisi come ad inevitabile necessità »; ma soprattutto amareggiato perchè a lui sembrava (il temperamento salvaticamente ombroso del Tommaseo, la sua quasi morbosa suscettibilità gli facevano certamente esagerare e i fatti e la loro portata, tuttavia qualche cosa di effettivamente vero c’ era : non si può porre in dubbio, p. es., il diverso trattamento subito in carcere dal Manin, trattato sin dalle prime con certi riguardi, e dal Tommaseo, che dalla propria padrona di casa venuta a visitarlo, fu trovato in uno stanzotto senza finestre e senza letto, che però poi gli fu mutato, intirizzito dal freddo; ed a proposito della dichiarazione di 99 cittadini di Venezia, con alla testa il podestà conte Correr, unita alla richiesta di Teresa Manin, alla Direzione generale di polizia, per ottenere a suo marito la libertà provvisoria, il Tommaseo amaramente postillava : « Chiedevano e guarantivano per lui, non curavano del suo compagno di carcere. Come questi rispondesse co’ suoi sacrifici alla costoro illiberale e stolta durezza da dar gioia all’Austria, i fatti proveranno »), perchè a lui sembrava ed, in parte, come s’ è visto, non a torto, che la parte più eletta di Venezia, i « Veneziani letterati e signori », non naturalmente il « povero popolo » che al Tommaseo fu sempre devoto e del quale, diceva egli, « non si crederà mai tanto bene che basti », si fossero mostrati generalmente incuranti di lui, male rimeritandolo dell’affetto suo per Venezia, per la quale egli non aveva esitato ad affrontare deliberatamente noie, disagi, sofferenze, pericoli, sacrificandole quello che era l’unico suo tesoro, il tempo, senza mai nulla chiedere, nè allora nè poi. E tale era la delicata sensibilità del suo sentimento in questo riguardo, che avendo, pressato dalla necessità, sollecitato che si facesse per sottoscrittori un’ edizione di due sue opere, soggiungeva subito : « Non m’indirizzo a Venezia, nè vorrei eh’Ella lo facesse per me; perchè, avend’io fatto per quella città un qualche piccolo sagrifizio, non vo’ richiedere, nè parer di richie-