- 286 — Da quanto finora è stato pubblicato, risulta che, in Dalmazia, due correnti più importanti erano decisamente orientate verso l’Italia: quella della parte più eletta, intellettuale dei Dalmati, andatasi evolvendo dal ristretto municipalismo veneziano a un concetto più vasto della patria, e quella del popolo, e non solo delle città costiere, rimasta ancora sinceramente attaccata alla repubblica di San Marco. Nell’articolo intitolato Tommaseiana (« Rivista Dalmatica », A. VI, F. IV, pp. 14-17) il Bersa pubblicò alcuni interessanti documenti, trovati rovistando i voluminosi fascicoli degli Atti segreti del governo austriaco, conservati nell’ Archivio degli Atti antichi del palazzo del governo a Zara. In un rapporto riguardante il Tommaseo, diretto nel giugno 1833 al presidente del dicastero aulico di polizia in Vienna, il governatore conte di Lilienberg scrive tra l’altro: «Corre voce che egli (il Tommaseo) più volte si fosse dichiarato partigiano del liberalismo e abbia palesato una certa preferenza pel cessato governo. Del resto i suoi concittadini lo tengono in grande stima e lo considerano l’ornamento della sua città natale. Sarebbe molto desiderabile che il Tommaseo non facesse ritorno in patria, ove i suoi perniciosi principi potrebbero agevolare il diffondersi del contagio politico, che ora tanto dilaga » (il corsivo è nostro). Di maggior importanza è un dispaccio diramato, in seguito a una nota del 16 settembre 1833 da Vienna, dal conte di Lilienberg, nel quale comunica (in italiano) ai capi del circolo che « in Lombardia fu arrestato e sottoposto a formale inquisizione un individuo appartenente alla setta detestabile della Giovine Italia, il quale fra le altre cose ebbe ad esporre che in Dalmazia eziandio esiste una congregazione della società suddetta stante in relazione immediata col centro della stessa già residente in Marsiglia ed ora in Ginevra nella Svizzera ». Di fronte a una dichiarazione così precisa, affermare, come fa il Bersa basandosi unicamente sulle assicurazioni sollecitamente mandate dai comandanti circolari di Zara, Spalato, Ragusa, Cattaro al loro capo, che affigliati a quella setta non si trovassero nel paese, ci sembra per lo meno poco prudente. Tanto più poi che contro tali assicurazioni stanno pure e la nota del Torresani, ben conosciuto insieme ai Salvotti e agli Zaiotti per la parte avuta nei celebri processi politici di quel tempo in Lombardia quale direttore generale della Polizia austriaca, il quale si affrettava a comunicare il 14 novembre 1833 da Milano al consigliere di governo e direttore di polizia di Zara «alcuna nuova emergenza riferibile anche alla Dalmazia», risultata dal pio-cesso per alto tradimento che colà si svolgeva; e la comunicazione (24 aprile 1834) del barone Hartig, governatore di Milano, al Lilienberg, che un inquisito aveva dichiarato aver la Giovine Italia fatto rapidi progressi in Dalmazia, e il Mazzini promesso di spedire indirizzi di persone fidate in quella provincia. Tali insistenze nel metter sull’attenti il governo della Dalmazia sulla diffusione della Giovine Italia nella provincia, ad onta che, a dire il vero, ogni volta i capitani circolari abbiano ribadito, ma forse anche per calmare il povero Lilienberg che non sapeva a che santo votarsi in quell’ « inquietante incertezza », che « della perversa ed esacranda setta non v' era alcun indizio in provincia », non ci pare possa lasciare dubbi ragionevoli sulla diffusione di essa anche tra noi. Anche perchè poi, essendo fiorite — ciò è pacifico — in Dalmazia le sette dei Massoni, dei Filadelfi, dei Carbonari ecc., è logico ammettere, mancando prove in contrario, che anche qui, come dappertutto in Italia, buona parte degli esitanti, degli increduli, degli sfiduciati di fronte agli antichi metodi di lotta, adoperati con così disastrosi risultati dalla Carboneria anche nell’ultima rivoluzione, si sia riscossa al suono profetico del nuovo Verbo mazziniano, che con così vivo calore di entusiasmo risollevava le sopite spe-