— 324 — ritto) non potevano rigenerare completamente il vecchio materiale fortemente difettoso. Dei 309 documenti contenuti nel volume, 120 riguardano ed interessano le città italiane della Dalmazia. È soltanto dell’ edizione di questi che, conformandoci e muovendoci nella sfera dei nostri interessi storici, vogliamo trattare. Sono la più parte atti di diritto privato, ¡strumenti notarili provenienti dagli archivi dei soppressi conventi dalmati, dagli archivi capitolari, vescovili o metropolitani, raramente da archivi privati. Qualche bolla papale, qualche lettera cardinalizia, atti di collettori apostolici, ducali veneziane, rari diplomi o lettere della cancelleria regale o reginale ungherese, estratti dalle « Lettere e Commissioni di Levante » dell’ archivio di Ragusa, riformazioni di consigli comunali, queste ultime quasi tutte attraverso le note, non sempre corrette nè diplomaticamente presentabili, di Giovanni Lucio. Un materiale insomma, abbastanza ricco e vario che rappresenta con sufficiente compiutezza la vita comunale dalmata di quel quadriennio. Sappiamo, per aver dovuto altre volte collazionare sugli originali le trascrizioni dei precedenti volumi, che in media in ogni pagina vi si riscontrano dai venti ai trenta errori. In questo volume, siamo, in media, dai quindici ai venti. Non ne faremo colpa all’editore per quanto non possiamo far a meno di manifestare il nostro disappunto che vi compaiano storture che non un paleografo, ma uno storico e un semplice uomo di cultura sarebbero stati bastanti a raddrizzare. Fa pessima impressione, p. es., leggere a pag. 8 « Barnabonis et Gabatii de vicecomitibus de Mediolano >, quando quel « Gabatii » è nientemeno che Galeazzo II Visconti. E successivamente « Gal-catio (invece di Galeatio) de Surdis», conte di Zara nel 1376 (pag. 236); « Taccitoli de Angulo», in luogo di «Tauitoli de Cingulo » (pag. 237); « Bartolomeus de Scondrato de Cremona» in luogo di « Sfrondrato » (pag. 64); «Petrus de U$ana », in luogo di « Petrus de Sardana » (pag. 44) ecc., personaggi tutti noti e molto importanti nella storia e nella cultura dalmata trecentesca perchè non si possa desiderare che i loro nomi, anche se a suo tempo male trascritti dagli originali, non compaiano ora nel codice in forma corretta. Sempre a proposito di nomi notiamo a pag. 42 due volte uno stranissimo « Embrianus » (de Hermolao e de Zudenicio, di Arbe), che sarà probabilmente un «Cibrianus»; notiamo un «de Feca» nobile zaratino (pag. 177) che sarà certo un « Fera ». E così via. E del pari, come nell’onomastica di personaggi importanti, lamentiamo — e qui l’appunto va direttamente allo storico del diritto — che anche usitatissime e ripetutissime formule notarili compaiano male riprodotte. Così in un testamento « dimitto pro male oblato» in luogo di « ablato » (pag. 20); in un ¡strumento di procura « sentencias executori mandari faciendum » in luogo di « executioni » (pag. 132); nello stesso ¡strumento « de iuditio sisti et iudicationi soluendo » in luogo di « iudi-cato » (pag. 132); « rendendum » in luogo di « re[spo]ndendum », ecc. L’interpunzione è generalmente buona e rende con sufficiente precisione il senso del documento. Un solo grosso errore vogliamo rilevare. Nel doc. zaratino del 2 die. 1374 si legge: « Insuper Stipanus condam Vladisclaui ortolanus extra Jadram in Orto, cornissarius condam Stefani de Soppe et Perfechus sartor condam Stefani, habitator Jadre ad Castrum Vetus et uterque ipsorum in solidum...». Quella virgola posta dopo « Orto » falsa il senso. Essa va espunta e conseguentemente in luogo di « cornissarius » si deve leggere « comissarie » e « Orto », che è evidentemente un nome comune, va scritto con la minuscola. Una caratteristica dei volumi del Codex è stata sempre uno smodato e inutile