— 259 - oratore di Ragusei, tiene nel Collegio di Venezia al doge una oration in lingua raguseo, che non può essere che il dalmatico. Cfr. Brani tratti dai Diari manoscritti di Marino Sanudo, 1496-1533. Estr. da Arkiv za povjestnicu Jugoslavensku, V (1859) segg., II, p. 32), nelle altre città dalmate un po’ prima, durante la seconda metà del sec. XV, in epoche che ricerche d’archivio vanno oggi esattamente determinando. Quello che poi, col B., importa affermare è che fu appunto sotto Venezia, col suo aiuto e col suo consenso, che grosse masse di slavi balcanici dal quattrocento in qua furono ospitate in Dalmazia conferendo alla parte mediterranea della regione quella impronta linguistica slava che serba tuttora e stabilendo intorno alle città, e in misura minima nelle città stesse, dei nuclei di popolazione parlanti Io slavo. L’ energica vitalità del dalmatico prima, del veneziano poi, assorbì dentro le mura questi nuclei avventizi; fuori invece, anche per il loro continuo mutarsi, non potè assimilarli. * Roberto Almagià, Albania e Balcania, pp. 438-452. L’ a., albanologo di lunga data e conoscitore perfetto della regione, affronta in questa memoria, che chiude il fascicolo di «Iapigia», uno dei problemi capitali della vita albanese: quello della sua unità. Molto spesso e volentieri si asserisce e si ripete che « l’Albania non costituisce affatto una regione o un individuo naturale » nel quale svariate differenze tra le singole parti impediscono «in modo insanabile una cementazione del nuovo Stato». Problema squisitamente geografico dunque, che si ama trasportare nel campo politico. L'a. lo affronta e risolve soprattutto da geografo. Rileva anzitutto i caratteri geografici della costa e del retroterra albanese, nettamente distinti da quelli della Dalmazia e della Grecia: costa diritta e collinosa con valli che aprono vie di accesso all’interno; confini interni ben delineati da aspre e impervie montagne. Queste caratteristiche fanno dell’Albania un’ « area di rifugio », e tale fu certamente la sua funzione nei secoli se vi si potè conservare l’elemento etnico e la lingua illirica, anteriore persino alla conquista romana. Di fronte a questa unità le differenze interne scompaiono, sono anzi delle necessarie varietà che soprattutto dal lato economico si integrano a vicenda. In ogni modo, progredendo il paese, tali differenze, che sono di tutti gli Stati, sono destinate ad attenuarsi e a scomparire. « Tutto ciò non soltanto giustifica la costituzione di uno Stato a sè, indipendente, ma permette di concludere che tale Stato ha una sua ragion d’essere naturale e costituisce un organismo politico vivo e vitale». L’Italia segue con attenta simpatia e aiuta lo sforzo che oggi l’Albania fa per adeguarsi alla civiltà occidentale. G. Praga Luigi AlDROVANDI, La settimana di passione adriatica a Parigi (17-27 aprile 1919), in «Nuova Antologia», 16 maggio 1933, pagg. 161-186; 1 giugno 1933, pagg. 354-382. S. E. il conte Luigi Aldrovandi, l’illustre diplomatico e appassionato cultore di storia, che al tempo della Conferenza di Parigi fu Capo dì Gabinetto del Ministro degli Esteri Sonnino e Segretario Generale per l’Italia alla Conferenza della pace, pubblica la parte del suo diario relativa alla trattazione delle questioni italiane alla Conferenza di Parigi. L’a. è uno dei sette (quattro presidenti, Wilson, Clemenceau, Lloyd George, Orlando, e tre segretari, Mantoux, Ankey e Aldrovandi) che, dopo il 24 marzo 1919