— 28G — gloria e la libertà sulla vostra fronte e de’ figli vostri » (Ultime parole a Venezia in « Raccolta Andreola », Vili, pp. 373-374). Fino allora aveva taciuto per carità di patria, aveva taciuto per non inasprire gli animi, per non rinfocolare le passioni, perchè « alla malaugurata vittoria del nemico non s’aggiungesse dai vinti stessi un indegno trionfo». Era testimonio il Capponi, che se fino allora non aveva « presa la penna per iscrivere di Venezia., si era stato perchè non gli dava l’animo di confondere alle lodi e alla pietà del povero popolo i biasimi inevitabili di taluni ». Ora non più. Bisognava ristabilire la verità dei fatti. Al Capponi, che gli raccomandava di non suscitare nuove controversie, rispondeva il 4 marzo del 1853 così : « Non intendevo scrivere a confutazione di tale e tal libro intorno a Venezia, ma narrando di mio, raddrizzare i giudizi e le narrazioni altrui torte : se non che, messomici, m’avvidi che non si potevano dichiarare e dimostrare le cose senza tessere un ragionamento che avesse forma di storia, dacché per più di tre anni, alle memorie di tante miserie, l’animo rifuggiva; ma poiché altri, non pago di sfogare la sua vanità ne’ vanti, assale e falsa le intenzioni mie, m’ è pur forza metterle in chiaro, il che a difenderle basta » (Carteggio, III, p. 231). Così nacque quest’opera di crucci e di passione, ma in cui è indubitabile la volontà dell’ autore di arrivare alla verità. La quale volontà ci lascia quanto mai perplessi sul giudizio che il Croce, cui pure spetta il merito di aver rinfrescato la fama del Tommaseo, rivendicandone il valore artistico e poetico in uno dei suoi saggi più quadrati e penetranti e persuasivi, seppur non immune da qualche errore nei particolari (La letteratura della nuova Italia, I, pp. 45-71), dà del Tommaseo come storico (*), riprendendo lo spunto dal De Sanctis, riuscito però a mantenersi molto più equanime, ad onta dell’ostinato silenzio che il Dalmata serbò sempre nei suoi rispetti. Di fronte a un giudizio così crudo e dissolvitore, sentiamo di dover protestare contro una palese ingiustizia, e con tanto maggior vigore in quanto quest'opera, se mai altra, avrebbe potuto essere la riprova della giustezza di tale giudizio. * * * Il Tommaseo ebbe, come a suo luogo dicemmo, alcune intuizioni singolarmente chiare, vaste, profonde, quasi profetiche nel campo politico; ma uomo di scarsa o nessuna malleabilità, rigido nei suoi principi, intransigente, poco atto ad uscire dalla propria individualità per intendere quella ..altrui, incapace spesso di resistere agli impulsi delle passioni e al suo prepotente bisogno di sincerità, senza riguardo alla opportunità di questa, non ebbe certamente quello che si chiama un temperamento politico. Nell’ affermare questo, si badi, non vogliamo mica far nostro il giudizio, esagerato come tanti altri di quel bizzarro ingegno dell’ Imbriani, il quale nel suo saggio (4) « In questi e innumerevoli luoghi simili dei suoi scritti, il Tommaseo si dimostra un maldicente, il quale, quando non gli si porgevano spontanee opportunità di maldicenze, se le foggiava da sè, artificiosamente e appassionatamente, con morboso eretismo, e non ripugnava dall’apparire un vaneggiale chiacchieratore, perchè sentiva che in quella incocrenza c’ era pure un’ intima coerenza, il bisogno irrefrenabile di sfogare la malignità dei suoi umori, unito alla compiacenza di atteggiarsi ad “ alma sdegnosa „ » (Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Laterza, Bari, I. p. 204).