- 325 - uso del punto esclamativo che ne sconcia orribilmente tutte le pagine. Particolarmente nei documenti delle città italiane ogni parola che un poco si scosti dall’ ortografia classica, ogni lieve sconcordanza, ogni espressione che sappia di volgare, ogni minimo comprensibile e scusabile lapsus cancelleresco (e quanti non ve ne sono nei documenti, specialmente di diritto privato) è immancabilmente accompagnato da un (!). Quel piolo erto ogni poco tra le parole voleva quasi essere un grido del trascrittore : «Badate, non sono io che sbaglio, ma il rozzo e indotto scrittore trecentesco!». Questa brutta caratteristica non è scomparsa nemmeno in questo XV volume. In tesi generale affermiamo che l’esclamativo non dovrebbe essere usato mai. Perchè non questo segno, ma la riconosciuta perizia e la scrupolosità del paleografo devono esserci garanti dell’ esattezza della lettura. A voler invece segnare le inesattezze si sa dove si comincia e non si sa dove si finisce. Quando soprattutto non si sia fissato un sistema, inconseguenze, superfluità, errori sono inevitabili, sì che avviene che 1’ esclamativo anziché essere segno dell’ ignoranza dell’ antico notaio, segnali invece l’ignoranza del moderno trascrittore. Diamo un solo esempio. A pag. 247 un « mangna», regolare secondo l’ortografia romanza medioevale, è seguito da (I). Ma perchè allora non porlo anche dietro « Qrubongna » a pag. 24, dietro a «Radongna» a pag. 138, dietro a « lo rengno de Pulia » a pag. 122, e dietro a un altro « mangna » a pag. 24? E poi perchè lardellare di esclamativi le regolarissime espressioni « sier » (pag. 68), « desbrigare » (pag. 315), « caciam » (pag. 320), « furmenti » (pag. 349) ? Forse perchè sono italiane? In avvenire ci auguriamo che, non solo per evitare queste inconseguenze e questi errori, ma per provvedere alla stessa estetica tipografica, l'uso di questo segno sia del tutto abbandonato. Un’ altra imprecisione urta assai, special-mente il lettore italiano : lo spezzettamento dei dittonghi in fine di riga. È errato dividere Ze-orzio, du-obus ecc., e dovrebbe essere evitato specialmente se i documenti appartengono a città italiane o, addirittura, sono in volgare. Un altro perfezionamento vorremmo che nei volumi avvenire fosse inlrodotto. Abbiamo già accennato alla difettosità delle note e dei documenti provenienti dalle opere del Lucio. Storicamente preziosissimi perchè unici a portarci ben addentro nella vita dei comuni, sono diplomaticamente oggi impresentabili. Lieve però lo studio per riportarli, se non alla precisa e integrale veste originaria, a quel minimo di correttezza che è necessario per essere compresi in un moderno diplomatario. P. es. quanto non avrebbe guadagnato il doc. a pag. 46 dalla mutazione di « huismodi » in « huiusmodi » e di « regi » in « regie »? E quello a pag. 348 dalla correzione e risoluzione di « Jacobus de Radich I. D. » in « Jacobus de Raduchis iuris doctor » quando da altre fonti, e dallo stesso doc. luciano a pp. 336-337, ne risultano il nome esatto e il grado accademico ? E sempre a pag. 348 perchè non mettere « perdendi » in luogo di « perditionis », dando magari in nota la lezione del Lucio ? Ancora un’ osservazione. Nella prefazione il Kostrencié ha dichiarato di farsi editore del materiale raccolto dallo Smiciklas, volendo certamente con ciò escludere non solo nuove ricerche, ma l’introduzione del Codex anche di materiali per avventura stampati in pubblicazioni edite dopo il compimento della raccolta. Dubitiamo però che sia lecito ristampare da vecchie ed antiquatissime opere, testi imperfetti, quando nel frattempo siano uscite edizioni migliori o addirittura condotte sugli originali. È, p. es., il caso del doc. 5 luglio 1377, riprodotto (pag. 296) monco e scorretto dal-l’Illyrìcum Sacrum del Farlati (V, 100), mentre nell’ « Archivio storico per la Dalmazia », IX, fase. 53, pp. 227-229, ne abbiamo dato, insieme ad altri documenti, una edizione integra desunta dal rogito originale.