— 340 - festazione inequivocabile del suo pensiero sulla Dalmazia. Chè proprio quando aveva da poco lanciato il famoso proclama agli slavi, dove sono le note dichiarazioni, ma fatte, come abbiamo detto, soprattutto per opportunità politica, scrivendo al Manin, in data 3 giugno ’48, per caldeggiare le profferte polacche, tra l’altro dice: «la legione polacca, aiutati che ci abbia a sbrattare di qui intorno l’Austriaco, potrebbe o riguadagnarci la Dalmazia ecc. » (pag. 335). Ed anche nella lettera diretta il 26 maggio '48 da Venezia al Babukich, uno dei rappresentanti più attivi del movimento letterario e politico illirico a Zagabria, nella quale, protestandosi slavo, (e si scusa di scrivere in italiano, «perchè la moltitudine delle occupazioni gli toglie il tempo a pensare le parole della lingua materna»!) rivolge al popolo croato un accorato rimprovero per essersi fatto il più efficace strumento delle persecuzioni dell’Austria in Italia, obbietta: <-Come volete voi ricongiungere le stirpi slave, attrarre a voi la Dalmazia, che per tanti legami di tradizione e di utilità e di studi e di affetti è congiunta all’Italia, se prima non fate che il nome croato non sia d’obbrobrio alle genti » ? (pag. 332). La distinzione tra « ricongiungere le stirpi slave » e « attrarre a voi la Dalmazia » indica, anche senza quello che segue, assai chiaramente il pensiero del Tommaseo, e non ha bisogno di comento. Ritornando agli aiuti polacchi, anche una seconda offerta, in cui ebbe parte principale il generale Rybinsky, e che fu sostenuta dal Tommaseo, il quale dopo il suo ritiro dal governo in seguito ai risultati del 4 luglio si trovava a Parigi, non ebbe miglior esito. . A queste trattative il Mazzini rimase estraneo, occupato altrove da ben più gravi avvenimenti. Ma ripreso da Lugano contatto col Manin per mezzo del Correnti, e poi, quando ne fu abbandonato, del Maestri, ripetutamente gli scrisse e gli fece anche scrivere dal Pincherle, già membro del Governo Provvisorio di Venezia. Però ogni tentativo di indurre il Dittatore a un’insurrezione di popolo, che, propagandosi da Venezia alla Lombardia e alla Liguria, avrebbe, secondo il Mazzini, trascinato la Francia a una guerra contro l’Austria, riuscì vano. L’atteggiamento poi del Circolo Italiano che aveva approvato la proposta mazziniana di formare in Venezia un governo repubblicano per il Lombardo-Veneto, nucleo di una più vasta repubblica, allontanò sempre di più il Manin dal Mazzini. Il quale si rivolse allora nuovamente al Tommaseo a Parigi, ma senza miglior risultato essendosi anche questi convinto che la situazione richiedeva, anzitutto, concordia e unità d’intenti. Alle proposte degli inviati mazziniani il Tommaseo tagliò corto, e indirizzandoli per una risposta a Venezia, cedette a uno dei suoi caratteristici scatti, uscendo in questa frase ferocemente ingiusta: «Il Mazzini cospira contro l’Italia più che contro il Tedesco; cospira sempre scappando». Fortunatamente tre lettere nobilissime inviate dal Tommaseo al Dall'Ongaro, al Circolo Italiano, al Giuriati, che il Gambarin pubblica dal Carteggio Tommaseo (si veda a pp. 359-361), per mostrare «com’egli sapesse far tacere in sè i propri preconcetti personali e sacrificare le proprie idealità, di fronte ai superiori interessi della Patria», fanno dimenticare, o per lo meno attenuano assai, la dolorosa impressione destata da questa frase, che, evidentemente, va considerata come uno sfogo, biasimevole quanto si vuole, di malumore, e non corrisponde affatto a una convinzione del Dalmata, che al Mazzini portò stima ed anche affetto. In chi conosca l’intransigenza del Tommaseo in certe questioni, non può non destare gradita sorpresa questo ch’egli scrive al Dell’Ongaro: «Se Carlo Alberto venisse in Lombardia e facesse davvero, converrebbe accoglierlo con gratitudine