— 310 - sec. X, giacché molto più primitive ne sono le forme in confronto di quelle dell’arco di ciborio proveniente da S. Orisogono di Zara, al quale sicuramente possiamo attribuire la data del 1033-1036 circa. * R. EGGER, Ein Offiziale des Statthalters von Dalmatien, pp. 219-220. — Dà una nuova lezione di una lapide salonitana, di recente scoperta, del 200 circa d. C., in base alla quale stabilisce, come propri nel seguito del luogotenente romano anche in Dalmazia, ufficiali con le mansioni di strator, ex stratoribus. * B. TRUHELKA, Boskovic o aferì o. Antoine Lavalette (Il Boscovich sull’ affare del p. Antonio Lavalette), pp. 275-282. — Nel carteggio di Ruggero Boscovich, il famoso scienziato raguseo della Compagnia di Gesù, carteggio conservato nell’archivio Pozza-Sorgo a Ragusa, e precisamente nelle lettere indirizzate al fratello Bartolomeo, pure gesuita, vi sono molti accenni alla questione del p. Lavalette, il fallito gesuita della Martinica, della quale i nemici dell’ordine particolarmente si servirono per muovergli guerra e infine per esigerne la soppressione. I passi delicati, per renderli inintelligibili a indiscreti lettori, sono quasi tutti stesi in lingua slava, e in essi il p. Ruggero mostra di seguire con ansia le vicende della lotta e intuisce tutta la gravità del momento che l’ordine attraversava. Le lettere, scritte da Parigi, sono degli anni 1759-1760. A questi fatti Ragusa era particolarmente interessata e come sede di un Collegio dell’ordine e come navigatrice. È noto infatti — e l’a. vi accenna — che fu la marina ragusea a compiere i trasporti dei gesuiti espulsi. Segnaliamo a questo proposito una relazione sin qui, a quanto sappiamo, ignota: Lettera di Giuseppe Orebich. raguseo contenente il ragguaglio del trasporto di CXXXII Gesuiti da Lisbona a Civitavecchia, Genova, 1759. * J. ZEILLER, Sur l’apparition du mot Romania chez les écrivains latins, pp. 309-313. — Lo Z. ha raccolto diligentemente tutti i testi greci e latini che tramandano la parola. Il latino ha la priorità. 'Pco/iavia, in greco, equivale all’espressione orbis roma-nus ed ha senso strettamente geografico. In latino invece la parola ha sfumature ed intenzioni speciali. Ricordato soprattutto il passo di Orosio (VII, 6, 43) dove si dice di re Ataulfo «ardenter inhiasse ut, obliterato romano nomine, romanum omne solum Gothorum faceret et vocaret, essetque, ut vulgariter loquar, Gothia quod Romania fuisset», e rilevato il valore di quel «vulgariter» che documenta la diffusione popolare della parola, conclude con maravigliosa acutezza: «Ce mot apparaît ainsi comme une sorte de réponse, on pourrait dire de défi, aux envahissements de la Gothia ou des autres barbaries qui menaçaient au IV« et au Ve siècle le monde romain, comme un acte de foi et même d’amour, qui dit beaucoup de choses, non pas en peu de mots, mais en un seul mot... c’est la terre romaine, l’Empire romain, le mond romain, disons plutôt encore, avec plus de généralité, la chose romaine, ou mieux encore ne traduisons pas, car il n’y a plus de traduction pleinement exacte quand le mot a un contenu si complexe: Romania». A questa pienezza di concetto della parola Romania, corrisponde senza dubbio un significato altrettanto lato della parola Gothia. Goti erano non solo quelli di Ataulfo, di Teodorico e via dicendo, ma tutti coloro che attentavano alla Romania, erano i barbari chiunque fossero e di qualunque parte venissero. Barbari non solo di razza, lingua e costumanze, ma barbari di religione, nemici e insidiatori della Chiesa di Roma, eretici. In questo senso — e questo lo Z. non nota — la parola si protrae e si perpetua durante quasi tutto l’evo medio. Così comprendiamo come e perchè gli avaro-slavi che invasero la Dalmazia nel VII secolo fossero dai romani chiamati goti, e perchè Tommaso Arcidiacono, rifacendosi a una fonte del secolo XI che pone su uno stesso piano goti e slavi, chiami la scrittura glagolitica :« goticas literas a quodam Methodio heretico... repertas,