— 248 — Si sapeva che la Dalmazia seguì sempre ed accompagnò l’opera meravigliosa del Risorgimento escono splendidamente documentati. Domenico Orlando ClAN V. : Vita e coltura torinese nel periodo albertino. Dal Carteggio di P. A. Paravia (estr. degli « Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino », voi. LXIII, 1928, pp. 355-388). Con questa nota storica P illustre On. Prof. Vittorio Cian con la solita meravigliosa diligenza e precisione nella informazione bibliografica, col solito suo altissimo acume e sereno equilibrio nei giudizi di valutazione apporta un contributo notevolissimo alla migliore conoscenza dell’illustre Dalmata P. A. Paravia sia per quello che concerne la rettitudine dell’animo, mite e buono, come per ciò che si riferisce alle sue qualità di maestro, alla lucidità e alla dottrina delle sue lezioni e all’efficacia della sua propaganda d’italianità culturale e politica. 11 volumetto ci è peraltro tanto più caro in quanto rappresenta il risultato di ricerche compiute otto anni or sono nella nostra Biblioteca Civica durante un breve soggiorno dell’A. in questa città, soggiorno di cui è sempre cosi vivo come orgoglioso il ricordo nell'animo degli zaratini. Domenico Orlando Cervellini G. B. : // periodo veneziano di P. A Paravia (estr. dall’ « Archivio Veneto » a cura della R. Deputazione di Storia Patria per le Venezie, a. LX1, Va serie, N. 1718, pp. 143-190. — — Lettere inedite di N. Tommaseo a P. A. Paravia (estr. dal « Giornale Storico della Letter. Ital. », voi. CI, 1933). Torino, Chiantore, 1933-VIII, pp. 106. 1. - Nella prima delle pubblicazioni sopra elencate il Cervellini ha preso in esame il voluminoso epistolario — conservato nel Seminario Vescovile di Treviso — del Paravia a Giuseppe Monico, l’erudito arciprete di Postioma, che il P. conobbe quand’ era alunno del Ginnasio veneziano, nel soggiorno che soleva fare durante l’autunno presso uno zio materno che a Postioma appunto villeggiava. Si tratta di ben 530 lettere comprese tra il 1811 e il 1829 e certo gettano non poca luce sulla formazione spirituale del P. Crediamo però che troppi elementi di giudizio manchino ancora per poter dire recisamente con l’A. che il P. rilevò non solo incomprensione e insensibilità politica, ma più esattamente mancanza di fede nel riscatto nazionale. Riteniamo piuttosto che anche in lui questa fede dinanzi ai dissensi personali di cui era spettatore e alle difficoltà d’ogni genere non provenienti soltanto dai nemici e in genere dagli stranieri, ma anche dagli Italiani individui che non sapevano essere uniti abbia non di rado vacillato. Comunque il C. riconosce i meriti che il P. si acquistò più tardi « italianando teste e lingue dei Piemontesi » com’ebbe a dire il Tommaseo. Solo avremmo desiderato che questo riconoscimento apparisse più chiaramente nel testo, anziché essere relegato nel minutissimo corpo tipografico di una nota.