LO «SCRIPTORIUM» DI SAN GRISOGONO IN ZARA NOTA POLEMICA Il nostro lavoro su Lo « Scrìptorium » dell’abbazia benedettina di San Grisogono in Zara, pubblicalo nell’« Archivio storico per la Dalmazia», Roma, fase. 39-49 (giugno 1929 - aprile 1930) ha messo alquanto a rumore il campo degli storici jugoslavi, particolarmente croati. Lo hanno considerato addirittura come un pericolo nazionale. Di questi sensi s’è reso soprattutto interprete un tale dott. Miho Barada in una lunga recensione stampata nel « Godisnjak Universiteta, Zagreb » (Annuario della Università di Zagabria), 1929/30-1932/33, un estratto della quale, con pensiero veramente gentile, egli stesso ci ha inviato. Gentilezza tanto più apprezzabile, quanto più triviali e villane sono in esso le volgarità espresse al nostro indirizzo. Incominciamo coll’assicurarlo che si tratta tutt’altro che di una pubblicazione «spinta a forza in tutto il mondo culturale», nè che l’autore ha «inviato da tutte le parti » i pochissimi estratti che l’amministrazione della rivista romana s’è compiaciuta, per usclusivo uso suo e degli amici, di fargli egregiamente e più correttamente allestire. Di questi ultimi, per rassicurare il Barada, non abbiamo nessuna difficoltà a comunicargli, per quanto il ricordo ci soccorra, l’uso fatto: sette o otto ne donammo alle biblioteche, agli amici e ai collaboratori di Zara, uno di dovere ne inviammo alla Biblioteca del Ministero della Educazione Nazionale, uno per sdebitarci a quella di Montecassino, uno per ciascuno ai nostri maestri Luigi Schiaparelli e Vittorio Lazzarini, uno per ciascuno alle LL. EE. Fedele e Volpe che oltre ogni nostro merito apprezzano e seguono il nostro lavoro, uno all’amico Emilio Re direttore dell’Archivio di Stato a Napoli, uno a mons. Mercati che poi fu depositato alla Biblioteca Vaticana, uno ne consegnammo a mons. Carusi della Biblioteca Vaticana quando nell’ottobre del ’31, di passaggio a Zara, venne a casa nostra a visitarci recandoci i saluti degli amici di Roma, uno infine a mons. Bulic perchè, chiedendogli il permesso di riprodurre in un altro nostro lavoro una tavola dal «Vjesnik za arheologiju i historiju dalmatinsku », ci parve sconvenienza presentarci a mani vuote. Due altri poi ne inviammo a loro richiesta al padre Schmitz