- 221 - presso gli Slavi meridionali : ben tre quarti del volume sono dedicati alle traduzioni e imitazioni carducciane presso i Croati e i Serbi, anzi, a essere più esatti, presso i Dalmati; giacché dei tredici autori presi in esame, uno solo, e con una sola poesia, è di Croazia; gli altri tutti sono della nostra regione II più fecondo tra questi, Antonio Petravié, in cui perdura il culto del Carducci, ebbe a riconoscere, pur professandosi croato, quanto certuni vorrebbero negare : esser cioè impossibile, per i poeti dalmati, liberarsi dall'influenza dei poeti italiani: «La tendenza dei nostri poeti è quella stessa dei poeti italiani loro contemporanei ». E fa specie che il Calvi, a malgrado di queste chiare parole, attribuisca il pullurare delle traduzioni carducciane in Dalmazia unicamente al valore universale dell’opera del nostro poeta, nè accolga come plausibile 1’ obiezione, affatto per contro giustificata, che i cultori di tali poesie sono stati o ancora sono in massima parte nativi della Dalmazia. Ciò significa, o m’inganno, voler chiudere gli occhi. Un altro appunto dobbiam fare al volume del Calvi: l’autore vi dimostra d’aver diligentemente studiato la lingua serbo-croata, senz’ esserne però arrivato a quella perfetta padronanza, indispensabile in lavori del genere, dove anche delle sfumature, anche delle finezze più capillari si deve tener gran conto. Ci limiteremo a notare le sviste più gravi. A p. 70, il musicista croato Lisinski è confuso col camposanto di Zagabria, che non si chiama già Lisinski, ma Mirogoj. A p. 83, b’jednica è tradotto con pallida anziché con misera. Tok (p. 90) non significa tanto, ma córso (p. es. di un fiume); cjelovi (p. 104) non sono fronti, ma baci ; nè slagjan significa bugiardo, ma dolce. A p. 119, il verbo srkati (sorbire) è reso con l’aggettivo caro, e, nella stessa pagina, la fragile canna schiantata dal vento diventa addirittura un cannone, e spara! A p. 158, quella che al Calvi sembra imperfetta interpretazione, è invece traduzione esatta: velji lezaju (vocativo di lezaj) è proprio talamo grande, non già grandi giacciono, come traduce il Calvi confondendo il sostantivo lezaj col verbo lezati. Sviste certamente poco simpatiche; ma, a discolpa del Calvi, diremo ch’egli dimostra di conoscere, nel suo studio, oltre al serbo-croato, anche lo sloveno e il bulgaro: lingue affini si, ma pur diverse tra loro; e a possederle interamente una vita umana forse non basta. Nicolò Nichichievich BRUNO DUDAN, Il diritto coloniale veneziano e le sue basi economiche, Roma, Anonima romana editoriale, 1933. Dice l’autore stesso nell' « Avvertenza » : « Questo lavoro, che si fonda per buona parte sullo studio critico di documenti, spesso inediti, dell’Archivio di Stato di Venezia, vorrebbe essere un primo contributo alla ricostruzione del diritto coloniale della Repubblica veneta... Quasi mai la storia del diritto italiano si è diretta ad illustrare, con criteri delineati e precisi, anche particolari, gli ordinamenti d’oltremare delle Repubbliche medievali italiane.