— 282 — dalle braccia de' genitori e chi delle mogli; si rincontrarono armati sugli spaldi di Marghera come già nel teatro della Fenice, e si riconobbero per la prima volta, ignoti fin allora agli altri e a se stessi : e come spiriti antichi che ripiglino il nerbo del braccio, si trovarono subitamente guerrieri, e patirono e combattettero tutti eguali e nel buon volere e nella paga, tutti per loro statuto di grado uffiziali e di cuore soldati ; e senza partiti civili, senza parlare o curare che sia parlato di sè, in silenzio si levarono, posarono le armi onorate in silenzio, deponendo nell’anima propria e nella storia la memoria delle quattro giornate di Marghera, come ferro che non arrugginisce, come germe che, antico insieme e novello, nei secoli crescerà » (pp. 201-203). A volte potentemente concentra il Tommaseo, in poche energiche pennellate tutta una situazione, sollevandola ad altezza d’ epopea. Dei Cacciatori delle Alpi, di quei tosi tanto cari al generoso Talamini, che, professore di umanità in un ginnasio di Venezia, «amava l’Italia tutta d’un amore alquanto rettorico pescato ne’ libri, ma il Cadore con tenerezza municipale, cioè tenace fin de' vieti pregiudizii », il Tommaseo ricorda come, per esser stati raccolti troppo tardi in legione, non poterono nella difesa di Venezia mostrare quell’ indomito valore che li aveva distinti sui loro monti, dove, « respingendo a suon di campane e fucili e a furia di vanghe e di falci il nemico, celebrarono la settimana santa » (p. 247). Altra volta è una patente ingiustizia, è, p. es., il trattamento privilegiato di un reparto, notato con dispiacere ma sopportato senza lamento dalle milizie più benemerite, che così aggiungono, ai loro già molti, un nuovo raro merito, che spinge il Tommaseo alla disapprovazione, alla protesta. La quale non gli muove l’invettiva rovente, di cui era maestro, ma trova sfogo nell’ esaltazione commossa delle preclare virtù di quelle. Ai Friulani che il Cavedalis voleva presso di sè, come guardia che a suo tempo gli servisse e lo custodisse, e che perciò erano ben vestiti e ben nutriti e da lui « accarezzati piuttosto che messi a cimento », il Tommaseo, dimenticando, certo involontariamente, che molti di essi, come giustamente osserva il Prunas nella nota 560, fecero parte dei Cacciatori del Sile che si distinsero nell’ attacco di Cava-nella d’ Adige, contrappone « il dignitoso squallore di tanti che, nati di schiatta illustre, e taluni di principesca, allevati tra gli agi e i piaceri del corpo e dello spirito, e della solitudine altera e dell’alta società, si giacevano col volgo non solo di razza ma d’anima, e convivevano fraternamente, non distinti se non al più composto silenzio e alla modestia più sofferente, sofferenti del disagio, che è più difficile del pericolo, e delle schifezze, che sono più aborrevoli del disagio. I quali nè degli atti loro nè delle stesse astinenze menavano vanto o movevano parola neppur con quelli che li sapessero intendere; e confusi ed ignoti, noti solo al proprio pensiero e al pensiero di Dio, se ne partirono, se pur non caddero morti, non lasciando traccia del nome loro se non ne’ ruoli stracciati dell’intendenza e nell’anima lacerata e riconoscente de’ pochi eh’ ebbero la fortuna di scoprirli, e occhi da discernere, e viscere da compatire » (pp. 234-35). Assai bene nella recensione a quest’ opera del Tommaseo (« Pegaso » A. IV, N. 2, pp. 237-243) comenta qui Domenico Guerri : « È forse la bellissima, fra le belle celebrazioni che si sian mai fatte del « milite ignoto ». Osservatore schietto, acuto, spesso profondo d’ogni fatto, egli ne scruta con penetrante sguardo i singoli aspetti, cercando di venire in chiaro degli elementi più riposti, imponderabili, che concorrano alla sua valutazione di merito; e allora te ne dà un giudizio cosi esaurientemente motivato, che non soltanto ti strappa 1’ assenso razionale ma anche, direi, afferra il tuo sentimento. Un esempio di ciò si può vedere