— 328 — di cui recentemente P. Popovic, in « Glas Srpske Kr. Akademije», CXXXVIII (1930), 26, ha mostrato la contaminazione dall’« Adriana» di Luigi Groto e dalle «Orbecche» di Giambattista Giraldi. Qualche notizia della fine del secolo XVIII nominava anche il Gozze quale traduttore in islavo dell’ « Aminta » del Tasso. Questa traduzione rimase negletta nè fu mai identificata, certamente, come osserva il K., perchè un altro ben più illustre raguseo, Domenico Zlatarich, diede opera allo stesso lavoro, stampando addirittura (Venezia 1580 e 1597) la sua traduzione qualche mese prima che vedesse la luce 1’ edizione originale del Tasso. Il K. ha rintracciato tra i mss. della biblioteca dell’ Accademia Jugoslava di Zagabria, anonima, con il titolo di « Raklica », la traduzione del Gozze. Gliela attribuisce con certezza dopo averne fatto una minuta analisi della lingua, del verso e del lessico ed averli trovati in tutto corrispondenti a quelli della « Dalida ». Questa del Gozze però non è una traduzione letterale. Pare anzi una contaminazione non essendovi rispettato il principio del Tasso che nell’Aminta volle quasi idealizzare il dramma pastorale eliminando da esso tutte le volgarità. Nella «Raklica» continua invece il costume senese, seguito a Ragusa del Darsa, che fa dell’egloga alle volte quasi una commedia. Il Gozze lavorò a questa traduzione tra il 1597 e il 1603. Il K. ha infatti stabilito che non solo l’originale del Tasso gli stette dinanzi, ma anche la seconda edizione della traduzione dello Zlatarich. L’indagine del K. è perfetta e le sue conclusioni sicure. Inutile dire quanto contributo rechi il suo, benché breve, lavoro alla conoscenza delle fortune del Tasso in Dalmazia. G. Praga Petar Kolendic, Trilogija o Bertoldu u iiasim prìjevodima (La trilogia di Bertoldo nelle nostre traduzioni). Estr. da « Novo Doba », Spalato, 1 aprile 1934, 32°, pp. 15. La trilogia italiana di Bertoldo, e precisamente « Le sottilissime astuzie di Bertoldo » di Giulio Cesare Croce, « Le piacevoli e ridiculose semplicità di Bertoldino » dello stesso autore e le « Scempiaggini e buffonate di Cacasenno » del padre Adriano Banchieri, ebbero anche oltre Adriatico, tra gli slavi, una straordinaria fortuna. Primo ad essere tradotto fu il Bertoldo ad opera di un Nicola Palikuéa (non crediamo che questo sia un pseudonimo, riscontrandosi il cognome nel sei e settecento nella Dalmazia media, ove anzi, sull’ isola di Mezzo, un Pietro Palikuca, arciprete, morto nel 1647, si rese noto per la sua valentia pedagogica e per 1’ amore con cui coltivò la filosofia, la fisica e la letteratura) che ne fece stampare la traduzione nel 1771 in Ancona presso Pietro Ferri. Tale traduzione fece ristampare nel 1799, presso Simone Cordella a Venezia, il libraio zaratino Giovanni Bastiera, rimanendo in seguito 1’ edizione di questo Bertoldo slavo una specialità dei librai e tipografi zaratini che, fino al 1915, ne allestirono, se dobbiamo credere alle indicazioni dei frontespizi, ben undici edizioni, diffuse tra la popolazione di campagna. Un’ altra serie di edizioni, che tuttavia in Jugoslavia continuano a ristamparsi, fu inaugurata dalle traduzioni della trilogia completa faite da Joakim Vujié, e stampate nel 1807-1809 a Budapest nella Tipografia universitaria. Non è facile stabilire con esattezza quante in seguito ne fossero, sulla base di questa, fatte a Belgrado e