— 291 — Questo fatto e quanti verremo accennando in appresso, serviranno ad aggiungere qualche interessante particolare al quadro della situazione in Dalmazia di questi anni, che abbiamo cercato di fissare così a un dipresso più sopra. Dunque il Petrovich, rivolgendosi ai Bocchesi ed ai Ragusei, dice: «Sentiamo che in questo sconvolgimento delle cose del mondo vengono a voi vari inviti ed eccitamenti da altre parti; sappiamo anche che le vostre radunanze si dividono in differenti partiti ; e per ciò... vi diamo chiaramente a conoscere... »: seguono tre punti nei quali il Petrovich li invita ad obbedire al « bano dei tre regni uniti che stanno sotto la corona imperiale» Jelacié, minacciando che in caso contrario «si verserà il sangue dei traditori, e le case dei traditori saranno convertite in cenere», mentre se fossero aggrediti da qualche nemico, egli coi suoi accorrerebbe a versare il « sangue pella loro libertà ». (La Gazzetta di Zara del 20 giugno 1848 reca la traduzione di questo scritto, che citiamo dall’ opera del Kasandrié già mentovata : Il giornalismo dalmato dal 1848 al 1849 ecc., pp. 65-66). L’ingerenza del Vladika Petrovich nelle cose di Dalmazia sembrò preoccupante all’Austria, che si affrettò a chiedere ufficialmente spiegazioni al governo montenegrino, che si permetteva di imporre a sudditi austriaci di prestare obbedienza al capo di una provincia «bensì austriaca ma diversa da quella della Dalmazia». Però la risposta fu tranquillante, e l’incidente non ebbe seguito. Ben più importante argomento appare invece il timore espresso dal Tommaseo, che l’Austria potesse, di fronte ad una sollevazione dei Dalmati, avventare contro la provincia « a rapina i Croati » e attizzare « la guerra civile sospingendo Latini contro Greci». Enunciato così, l’argomento persuade poco, ma nascondevi sembra, un pensiero giusto. Ciò crediamo di poter affermare senza per questo attirarci la taccia di far violenza al pensiero del Tommaseo per dimostrare una nostra tesi preconcetta. La situazione in Dalmazia in quel torno di tempo era ben nota al Tommaseo. Egli sapeva bene che se l’elemento italiano aveva allargata la sua visione politica dal ristretto municipalismo veneziano a una più vasta coscienza della propria nazionalità, contemporaneamente nell'elemento slavo d’infraterra ed in alcuni intellettuali s’era fatto strada V illirismo , di cui fu banditore e propugnatore Lodovico Gai, seguito non senza simpatia dal Tommaseo. Questo moto illirico, a tendenze, per allora almeno, non irredentistiche, che fu « il primo tentativo di unione spirituale degli slavi dell’Austria (che di altro non si poteva parlare ai tempi di Metternich) e conteneva in potenza lo sfacelo della compagine austriaca » (O. RANDI, Niccolò Tommaseo nella politica, in « La Rivista Dalmatica », A. VII, ff. III-IV, p. 65), aveva contribuito potentemente a ridestare la coscienza nazionale degli slavi, e proprio in quegli anni 48-49 aveva sollevato in Dalmazia interminabili discussioni e polemiche, la cui vivacità fu alimentata ed accresciuta dalla patente del marzo 48 con la quale Ferdinando I largiva ai suoi popoli la libertà di stampa, discussioni e polemiche dibattute con grande calore ed entusiasmo, anche se non con altrettanta chiarezza di idee, da personalità generalmente di vasta coltura e d’indiscusso valore sui giornali della provincia, circa il sentimento nazionale dei Dalmati, circa le loro aspirazioni politiche. Gli stessi sostenitori del moto illirico erano divisi in più correnti: quella croata e quella serba; alcuni orientati verso 1’ unione alla Croazia e alla Bosnia, altri sostenitori, con più o meno d’intransigenza, dell’ autonomia della Dalmazia. Questa corrente, andata affermandosi sempre più recisamente, fino ad acquistare un’ assoluta prevalenza sulla tesi annessionista, fu sostenuta da alcuni intellettuali che, pur professandosi slavi, ma essendo impregnati fino al midollo di cultura italiana, tra l’altro non potè-