- 283 - nella lode sincera e convincente tributata a quelli stessi Friulani, sul trattamento ed impiego dei quali egli così vivamente dissentiva, come è stato detto sopra, per la sola prova di coraggio che, secondo lui, poterono dare, trasportando munizioni dalla riva a Marghera sotto il grandinare delle palle nemiche : » al che esitando una volta, furono rincorati ben presto dall’esempio de’ capi: nè quella era cosa da gioco, ma di maggior pericolo, dacché su quel punto le palle cadevano più spesse, con tiro certo dirette dagli espertissimi artiglieri nemici ; ed era di non minor merito che l’attendere al fuoco del cannone, dove il rumor stesso assorda il timore, e la vista e la speranza de’ vantaggi riportati conforta ed accende, ed è più presente l’imagine dell’ onore ; dove all' incontro il rimanere fracassato tra l’acqua e la terra, facendo l’uffizio tra di facchino e di giumento, abbatte il pensiero» (pp. 235-236) Le qualità negative, da noi già brevemente rilevate, del temperamento politico del Tommaseo, spiegano a sufficienza parecchi dei suoi errori; quali, ad esempio, la sua incomprensione di molti atti del Manin, da lui ripresi, o severamente condannati, talora causticamente bollati ; o la sua invincibile avversione al Piemonte e a Carlo Alberto, cui egli, con logica invero strana, da una parte riteneva « necessario a spazzare i Tedeschi», mentre dall’altra dichiarava temerne come «pericoloso il soccorso»; e protestava che non gli sì sarebbe inchinato mai come ministro; o la sopravvalutazione eh’ egli faceva dell’ opera, entro certi limiti non solo utile ma anzi indispensabili, degli uomini di pensiero rispetto a quella degli uomini d’azione, senza tuttavia arrivar per questo mai, come gli addebitava il Mazzini, basandosi su giudizi altrui, prima d’aver letto il suo volume Dell’Italia, ad accennare «per uno dei principali rimedi a’ guai che pesano sull’ Italia, pregaie Iddio (Carteggio, III, p. 453) ; o la sua intransigenza assoluta nei riguardi dell’ idea repubblicana, dal Mazzini stesso nel ’48 posposta, in vista di superiori interessi, alla necessità di far convergere tutti gli sforzi alla guerra, sicché almeno da principio « la sua azione fu fedele a tal programma : sostenne il governo provvisorio, e dissuase i repubblicani più intransigenti » (Bolton King, Mazzini, Barbera, Firenze, 1922, p. 121). * * * Più lungo e attento discorso si richiede per l’atteggiamento del Tommaseo nei riguardi dell’Istria e della Dalmazia, e per l’importanza, la complessità e la delicatezza del problema in sé, e anche perchè scriviamo per questi « Atti e memorie della Società Dalmata di Storia patria ». È pacifico che il Manin, chiamando a collaborare il Tommaseo, l’autorità e popolarità del quale, già grandi a Venezia per le sue idee politiche, per la sua opera di letterato e per le estese relazioni anche all’estero, erano state di recente accresciute dall’aureola del martirio per il carcere sofferto insieme a lui, ebbe di mira, insieme ad altri scopi, questi due principalmente: valersi del Tommaseo per farsi proporre, come del resto era naturale e necessario, capo della Repubblica; attrarre nell’ orbita della rivoluzione veneziana la Dalmazia, la cui popolazione, nell’ inglorioso tramonto di Venezia nel 1797, aveva dato cosi mirabile esempio di attaccamento e di fedeltà alla Repubblica, approntando un’animosa falange di 12.000 uomini, che avevano passato il mare decisi a morire per la sua difesa, perchè, come il Tommaseo scrive con giusto orgoglio (Italia, Grecia, Illirio, la Corsica, le Isole Ionie e la Dalmazia, 1851): « questi uomini semplici non facevano della repubblica un nome, nè di S. Marco una figura da veder impressa nelle mal guadagnate e male spese monete.