- 256 — « strumenti litici, ceramica, architettura, tutto il quadro del nostro eneolitico offre differenze con l’opposta sponda, differenze assai più forti e significative delle molto generiche somiglianze di ornati vascolari ». Per il periodo neo-eneolitico, constata sì nelle Puglie e nelle regioni danubiano-balcaniche identità nei motivi ornamentali spiralifornii delle ceramiche, ma ne fissa l’origine orientale egea, considerandoli una fase attardata di civiltà nei confronti della civiltà del bronzo della regione egeo-micenea. « Messo ciò in chiaro, le due opposte sponde potrebbero ben apparire, da questo lato, come una unità culturale, pur sviluppandosi e modificandosi secondo le native tendenze ». È soprattutto sulla presenza di oggetti micenei che è fondata la ipotesi del sopraggiungere sulle coste pugliesi di un nuovo popolo: gli Iapigi. «Quei conquistatori avrebbero preso possesso delle pianure di Puglia, dal Gargano al Capo di Leuca, spingendosi fino a Crotone, dove il Capo Lacinio si denominò un tempo Capo Iapigio. Chi li fa giungere per via di terra, chi per mare. Chi in una sola immigrazione, chi in varie epoche, a ondate incessanti: i diversi nomi di Iapigi, Dauni, Peuceti, Messapi, segnerebbero le varie fasi, i vari tratti della invasione ». Questi sarebbero i popoli contro i quali il mondo ellenico cozzò nella sua espansione nel mezzogiorno d’Italia. Dando alle narrazioni leggendarie dei logografi e dei protostorici antichi la considerazione che meritano, e non ignorando le ipotesi formulate dai glottologi, fonda l’esame di queste ipotesi soprattutto sull’indagine archeologica. Esamina i materiali delle necropoli di Novilara presso Pesaro, di Pizzughi presso Parenzo, di Alfadena abruzzese, di Glasinac presso Sarajevo, dei tumuli della Bosnia-Erzegovina, delle tombe di Andria, e, raffrontandoli, conclude insieme con Mac Iver: « In generale io insisterei che questa elegante ricerca illirica simile alla civiltà pugliese, fosse trattata con una certa cautela e moderazione. È ancora troppo presto formulare teorie finché i paesi balcanici sono archeologicamente quasi sconosciuti. Certo, relazioni tra le due sponde ci furono: ma a stabilire questi movimenti, a scoprire le loro origini ed a fissare la loro data, è un lavoro difficilissimo del quale il nostro odierno patrimonio di conoscenze è del tutto insufficiente ». * Pericle Ducati, Roma antica e iAdriatico, pp. 386-403. Quadro sintetico di bellissima armonia, quale solo un maestro come Pericle Ducati poteva disegnare, dell’ espansione romana verso l'Adriatico, prima attraverso e oltre l’Appennino, poi oltre il mare, nell’Istria, nella Dalmazia, nell’Albania. L’Adriatico appare per la prima volta agli occhi dei legionari nel 326, durante la lotta tra Roma e il Sannio. Nel 295 la decisiva vittoria di Sentino api e ai Romani le vie verso l’Adriatico centrale. La fondazione di Hatria nel 289 e di Sena Gallica nel 283 consacra il possesso della costa occidentale. Questa estensione di dominio doveva portare a un cozzo con i Greci del mezzogiorno d’Italia. Il cozzo si ebbe nella guerra contro Pirro. Nel 272 Taranto, la superba città greca alleata degli Epiroti, è domata Nel 270 Roma ottiene la dorica Ancona. La via Appia prolungata sino a Brindisi, la istituzione dei quaestores classici, la fondazione di Rimini non sono che preparazione al balzo oltre mare. E incominciano quelle molte e non facili guerre illiriche, conchiuse nel 169 con la sconfitta di Genzio, seguite dalle non poche e non meno facili guerre dalmatiche conchiuse nel 9 d. C. Intanto nel 168 era stata soggiogata l’Istria. L’Adriatico sin dal I sec. a. C. fu tutto romano. A fronte della corona di città che si snodava sulla riva occidentale da Concordia a Brindisi, stanno sulla orientale: Apollonia, dalle ottime leggi e fedelissima a Roma, magna urbs et gravis', Durazzo, imbocco della