- 216 — mirai anzitutto alla sua descrizione paleografica ed alla confutazione dell’edizione del Jagié, ciò che ormai è stato accettato dagli stessi specialisti (Slavia, VII, 3). Differente è pure l’opera inglese di J. Torbarina « Italian influnce on thè poets of thè Ragusan Republic » (Londra, 1931), la quale si occupa delle poesie del Menze e del Darsa solo quel tanto che è necessario per analizzarne le fonti italiane. Chiude infine la serie di questi studi la pubblicazione del prof. Resetar, di cui qui diamo prima notizia. Lo studio del R. non ci porta a nuove conclusioni, ma si presenta piuttosto, e difatti lo è un’accurata revisione critica di quanto su ciò finora è stato scritto. Il prof. R., il quale ora sta studiando la lingua dei primi poeti ragusei ed in pari tempo ne prepara una nuova edizione, ha inteso il bisogno di fare tale revisione e qui ne dà un primo saggio a proposito degli autori delle singole poesie. Perciò con quella scrupolosità che lo distingue egli passa in rassegna tutto ciò che su tale argomento è stato scritto. Ma non risale solamente ai tempi della prima edizione di Jagic, bensì si riporta ai tempi più antichi e ci narra ed illustra quello che anche gli antichi ragusei ci hanno tramandato. Incomincia quindi ad esaminare quello che lo stesso Ragnina, autore del Canzoniere, ha segnato a parte e quello che i suoi studiosi hanno o non hanno poi di lui notato. (Ma se è vero che il Jagic non si accorse che la poesia n. 371 ha l'annotazione < Dzore Drzié - Pjesni Ijuvene», non è vero che io non l’abbia notato, perchè a pag. 20 del mio studio io l’ascrivo «ad una mano cinquecentesca» non avendo avuto il coraggio di ascrivere categoricamente al Ragnina un’annotazione, fatta « nesto kasnije » secondo lo stesso R., che presenta un tipo differente del solito cursus e che quindi, come altre, resta discutibile I). Ricorda inoltre singole testimonianze dei poeti D. Ragnina e A. Sasin, che sono importanti perchè risalgono al secolo XVI. Cita pure i richiami alle poesie del Menze e del Darsa che si possono trovare nel vecchio Dizionario del Della Bella e riepiloga l’opera di revisione generale che del Codice fece il gesuita Mattei nel secolo XVIII. Infine passa all'esame delle pubblicazioni moderne. E questa è la parte più importante del suo lavoro perchè egli non si limita ad illustrare quello che i singoli autori fecero, ma li controlla in ogni minimo particolare e quasi ad ognuno fa qualche obiezione e così sottopone le loro conclusioni a vari rimaneggiamenti. Naturalmente, data l’importanza del lavoro e delle conclusioni a cui si arriva egli si sofferma più a lungo sullo studio del Medini e pur accettando molte sue opinioni ne oppone anche parecchie proprie. Non sono obiezioni che intaccano l’idea fondamentale dello studio del Medini, ma solamente correggono e completano singole sue parti. Così il capitolo sulle rime, che nel Medini è piuttosto scadente, qui viene ampliato in modo che ora se ne ha un’ idea molto più chiara e più sicura. Cosi l’uso della cesura, che specialmente nei dodecasillabi il M. ha trascurato, qui trova la sua giusta illustrazione. Addirittura ex novo è trattata qui la prima parte del Canzoniere contenente le « poesie anonime », che il M. non curò affatto, e sulla base delle norme metriche fissate dal M. e corrette dal R. a molte poesie è trovato il loro autore. Sono cioè poesie del Darsa e del Menze, ma, non avendo avuto il nome dell’ autore, non si sapeva a quale dei due poeti ascrivere particolarmente ogni singola poesia Ora il R. viene alla conclusione che delle 75 poesie quivi comprese quasi tutte siano del Darsa e ciò: 14 «certamente» per l’uso dell’acrostico; 31 - probabilmente» perchè hanno la cesura irregolare, e alcune l’ir per la r vocalica; 10 «forse» per il metro non comune; 27 «forse-' per il posto che hanno nel Canzoniere in mezzo ad altre poesie del Darsa. Sole tre poesie sarebbero