— 287 - ranze, infondeva la fede, si presentava come ordinatore delle forze, come educatore delle anime, e sia passata alla nuova Associazione che con tanta rapidità, moltiplicando i Comitati, si diffuse. Nè è un argomento degno di considerazione contro la nostra tesi quello affacciato dal Bersa, che dopo il '34 non si faccia più menzione della Giovine Italia, dato che egli stesso ammette che manca 1’ ulteriore atteggio. Che nel '48 poi, pur in mezzo a contraddizioni del resto facilmente spiegabili, l’idea italiana abbia preso anche più forti radici, è prova, per limitarci ad uno dei fatti più caratteristici, la domanda di unione al Lombardo-Veneto chiesta dalla municipalità di Spalato in risposta all’ appello degli annessionisti croati. Per quanto riguarda la corrente cosiddetta dei marcoimi, forte anche tra gli abitanti slavi dei paesi dell’interno della Dalmazia, leggiamo nel citato articolo del Brunelli (1) (in « Rivista Dalmatica », pp. 38-44) una relazione, datata da Knin, 13 aprile 1848, di tale Qiovan Battista Vujaskovich, maestro elementare e spia, contro parecchie persone sospette di amore all’Italia, da cui stralciamo, a suffragare le nostre affermazioni, questo passo: «Giuseppe Ivanovich si espresse con parole favorevoli alla Repubblica Veneta, e contrarie al nostro Monarca; fra le altre cose disse: d’aver baciato in questi giorni 1’ effigie del veneto Leone, ed aggiunse parole d’ entusiasmo, ed asserì eh’ egli avendo tenuto giorni or sono nella propria osteria discorsi con alcuni villici di Kievo, questi esternarono il loro desiderio d’esser dominati dalla repubblica suddetta ». Aggiunge il Brunelli che anche nei dintorni di Spalato, nel giorno di San Marco molti preti di campagna si raccoglievano a banchetto, e « bagnavano col vin di Cipro la labbra del Leone ricamato in una bandiera, che in quel giorno spiegavano nascostamente tra loro sur una parete della stanza in cui stavano a brindare. Kievo poi ci è rimasta fedele sino alla occupazione del ’18, e si meritò che il monumento storico, eretto alle falde del Dinara a Roma Mater, venisse innalzato proprio nel loro paese : l’affetto a Venezia era divenuto affetto all’ Italia ». Assai ancora ci sarebbe da dire a questo riguardo e sugli anni che vanno dal '48 in poi, specialmente spigolando tra i numerosi passi dei giornali dalmati del-l’epoca riportati dal Kasandric nel suo pregevole volume II giornalismo dalmato dal 1848 al 1860, appunti di Pietro Kasandric, Artale, Zara, 1899. Ma, senza nessuna pretesa di aver esaurito neanche in minima parte questo cosi attraente argomento della storia della Dalmazia, che, come del resto abbiamo detto subito da principio, attende ancora lo studioso che lo illumini, riteniamo d’aver detto abbastanza per il nostro assunto. * * * L’affermazione del Tommaseo di poter spingere con un suo cenno la Dalmazia, di cui in un quadro certo assai incompleto abbiamo cercato di prospettare la situazione politica, alla sollevazione, e le ragioni che Io indussero ad astenersi da tale atto che egli sapeva benissimo il governo di Venezia attendeva da lui (secondo il Marchesi, vano sarebbe riuscito un tentativo del Cavedalis appena salito al potere (1) Assai sintomatico l’aneddoto qui riportato del brindisi di Antonio Toniatti (E adesso faremo un brindese al nostro Garibaldi 1) in una cena solenne che si diede a Zara in onore del dott. Baiamonti con l'intervento di molti pubblici funzionari, a due dei quali, Lorenzo Simonelli e Simeone Vissich, costò il licenziamento.