— 316 — ut in breuiaro ilio continetur» (SMICIKLAS, Codex, II, pag. 30). Che cosa è quel breviarium ? Non certamente un privilegio, la cui concessione è resa superflua ed esclusa da quel iuravit, ma una semplice cedola, un pezzo di carta scritto dagli stessi arbesani, nel quale gli offerenti annotarono le condizioni della dedizione. Che quel pezzo di carta non avesse valore diplomatico è indubbiamente indicato da quel dicitis, che mostra una possibile arbitrarietà delle asserzioni arbesane, mentre un regolare documento le avrebbe senz’altro provate. Che così fosse, e che in questa forma avvenissero nell’alto medio evo le dedizioni, abbiamo un bellissimo e molto calzante esempio. Quando, sull’inizio della guerra gotica, Belisario mosse alla volta di Napoli ed intavolò con i napoletani trattative di dedizione, i due rappresentanti degli oppositori, come narra Procopio, rovireo vco àvòge fiovXevoafiéva) oncog và ngaoaófieva èv xcoXv/xy ’¿ovai, jiokkà ve xal ¡xeyà/.a vò Jtlìjdog èvrjyérev rcooiay^.adai xal Behaagiov ògxoig xavaXafifldvEip on órj rovveov avvina fiàka ngòg avvov vev^ovvai. èv fhfìhòlq) ve àizavva yQmpavvs oaa Behaagiov ovn àv vig èvòéèaotìai vnevónrjae Zvetpdvq) eòo a ai’, òg ènei i-.g vò /ìaaiXécog ovga vóneòov avìhg à(pixevo, vip ovgavrjyq) èmÒei^ag vò ygau/j-avslov èjvvvihivsvo sì oi ndvva ve emvèkeaai òaa NeajtoXhai ugoveivovvai xal negl vovveov ò/xtìaOai [iov/.o-[lèviù ettj. ó óè avvòv, ànavva nepimv èmveXr) trseaOai vjzoo%ó[xevog, àjte-rtè/iipavo (Procopio, Guerre gotiche, I, 8, ed. Comparetti, Roma, Istituto storico italiano, 1895, voi. I, pp. 59-60). Ecco, così avvenne anche la dedizione di Arbe ad Ordelaffo Falier. Il breviarium arbesano è tutf uno con il [ìifiXiòiov e col yga/Afia-velov napoletano, un « foglio », una « scrittura », come traduce il Comparetti, senza alcun valore ufficiale. Non su questo foglio, ma sul giuramento in seguito prestato, e sulla registrazione della formula nell’ Evangeliario che aveva servito da Testo Sacro, riposava il rispetto delle libertà comunali. Questa prassi durò in Dalmazia, e dappertutto, sino alla fine del secolo XII. Prima di questo tempo noi abbiamo infiniti giuramenti registrati, ma nessun diploma. I diplomi sorsero più tardi, nel secolo XIII, quando ogni asserzione doveva essere confortata dalla produzione di un documento. La povertà diplomatica e i grossi errori cronologici del diploma traurino, oltre a tutto quello che abbiamo detto, lo fanno senz'altro classificare tra queste falsificazioni. Coloro che sin qui ci hanno seguito avranno notato come gli unici documenti attendibili sulla ricezione della Dalmazia da parte di Colomano parlino esplicitamente e soltanto di Dalmatia e Dalmatini. È una grossa mistificazione dunque quella di valersi di questi documenti per fondare e costruire un diritto di stato croato. La Croazia conquistata da Ladislao nel 1091, riconquistata da Colomano, con l’uccisione in battaglia del suo ultimo regolo, nel 1097, doveva avere il suo diritto di stato nei rispetti dell’Ungheria, ben formato e fissato assai prima che Colomano nel 1107 facesse, dopo essere stato respinto dalle milizie dei vittoriosi comuni italiani della Dalmazia, il giuramento di cui abbiamo parlato, fuori del sacro territorio cintato dalle mura del comune di Zara. Il K. sa tutto questj, anzi ne prende atto (pag. 106 segg.), ma insinua che la concezione di una Dalmazia, come corpo politico separato dalla Croazia, è « romanico-veneziana » e che di fronte ad essa sta una concezione « ungaro-croata » che considerava la Croazia e la Dalmazia come un unico corpo politico. Di questo egli non sa dare nessuna prova, richiamandosi soltanto alla nota frase del tanto strombazzato privilegio di Cressimiro al monastero di San Grisogono