— 285 — volesse venire a combattere per Venezia, ma senza promettere nè sbarchi nè aiuti, anzi sconsigliando le mosse. E quando taluni de’ Dalmati intendevano darsi al Piemonte non curante di loro e impacciato di sè, antivedendo la fine io consigliai che indugiassero; e quando da ultimo esso Piemonte e taluni di Venezia sotto il Marzo del quarantanove si volgevano per disperati anco a' Dalmati per incitarli, io (e di questo mi glorio) gli avvertii del pericolo » (pp. 105-109). La citazione è stata di necessità piuttosto lunga, sebbene da parte nostra si sia cercato di abbreviarla, omettendo alcuni particolari degni di nota ma accessori rispetto al problema che maggiormente ora ci interessa, come il ritratto, potente di rilievo e inesorabilmente demolitore, del Vladika Petrovich, « vescovo assassino, magnetizzato dalla corte di Pietroburgo e dai lupanari di Vienna, con addosso e la ruggine della barbarie e la carie della civiltà », e 1’ altro, finemente arguto, del successore del conte Venceslao Vettor di Lilienberg nel governo civile e militare della provincia, il maresciallo Tursky, che attendeva i moti di Dalmazia «forse per andarsene al riposo ». Come dunque si vede, ad onta che il Tommaseo esplicitamente riconosca che in Dalmazia cova lo spirito di rivolta, ad onta che egli metta in rilievo l’attesa ansiosa dei Dalmati di un segno solo per inalberare la bandiera della rivolta ed unire i loro sforzi a quelli degli altri fratelli per la redenzione dell' Italia, di cui si sentono una parte, egli, che pur in altra parte dell’opera affaccia la supposizione che il Manin, chiamandolo a far parte del governo, si ripromettesse di « gettare il suo nome come amo alla Dalmazia » (p. 121), si astiene deliberatamente dal fare quello che da lui si attendeva, anzi si adopera per il contrario, e, di non averlo fatto, si dà vanto, pensando di aver impedito cosi che al numero già rilevante di vittime, venissero ad aggiungersi, inutilmente, delle altre. Qui dobbiamo aprire una parentesi. Che la situazione in Dalmazia sia stata intorno al ’48-’49 quale ce la prospetta il Tommaseo nella prima parte del passo citato, si deve senz’ altro ammettere, sebbene la storia della Dalmazia durante il glorioso Risorgimento della patria resti tuttavia uno dei periodi meno chiari. E ciò a motivo della cura gelosa con cui il sospettoso governo della tramontata monarchia degli Absburgo impedì sempre agli studiosi l’accesso agli archivi contenenti quegli atti riservati e riservatissimi, composti tra l’altro, come apprendiamo da un interessante articolo del Brunelli pubblicato nel luglio del 1922 (« Rivista Dalmatica», A. VI, F. II : Le prime vittime della polizia austriaca in Dalmazia — da documenti ufficiali inediti —), di fascicoli sul cui dorso si legge Geheime Akten (Atti segreti), Alta politica di Stato, Società segrete, Massoneria, Carbonari, Giovine Italia ecc. e riguardanti il periodo che va dal 1814 al 1918; e perchè avrebbe commesso una grossa imprudenza quello dei nostri storici regionali che, regnando Francesco Giuseppe, avesse cercato di far luce su tale periodo, valendosi dello scarso materiale che eventualmente avesse potuto avere a disposizione. Qualche cosa, ma non molto in verità, è stato fatto, dopo la fine della guerra, dal Brunelli, dal Bersa, dal Randi, dallo Zingarelli ecc.; moltissimo resta ancora da fare, senza che però si possa stabilire allo stato attuale delle cose se si riuscirà a veder chiaro in questa così complicata interessante e delicatissima questione, essendo parecchi dei documenti più importanti stati trafugati o addirittura bruciati. Molto, comunque, ci ripromettiamo a questo riguardo da quell’ instancabile ed acuto indagatore della nostra storia che è il prof. Praga, il quale ha messo di recente la mano su un importante gruppo di documenti, di cui ha fatto cenno in questo stesso volume il prof. Orlando,