— 279 — dere, ricompensa o compenso. A tali sagrifizi, per piccoli che siano, non c’ è ricompensa che non ne tolga il merito, o compenso che non ne degradi la dignità » (Lettera, indirizzata non si sa a chi, del 17 settembre 1851, cit. nella prefazione a pagina XX e XXI). E del denaro pubblico fu amministratore così scrupoloso e così parco nello spenderlo, che persino alle spese sostenute per Venezia, egli, povero, sopperì in parte col suo denaro, cercando poi di non aggravarle anche 'sacrificando le proprie più modeste esigenze, nonché gli agi. Infatti nel tempo (agosto ’48-gennaio ’49) che stette a Parigi per Venezia, aggiunse di suo quattro franchi al giorno, quanti, scrive egli « a un dipresso io ne spendo al giorno in Venezia ». In una postilla apposta in un foglietto a un esemplare del proprio opuscolo N. T. al popolo Veneziano (Tip. Gasparri, S. Felice, cit. in nota a pag. 151 e 152), il Tommaseo dice: « Non per vanto, ma per documento storico, noterò che per qualche tempo in sul primo la seconda colazione di me, inviato dalla Serenissima ringiovanita, era mele crude, acqua e pane; ma non ci potendo lo stomaco durare, smessi per reggermi ritto, e non spendere alla fine di più. E le bucce delle mele erano gelosamente nascoste ai servitori del ricco albergo vestiti come signori, nascoste siccome un segreto di gabinetto ». Dopo quanto abbiamo detto, che le calunnie stoltamente maligne e sfacciate messe in circolazione a Venezia sul conto del Tommaseo, dai parenti del Manin e da altri suoi avversari, che egli da Venezia avesse ricevuto ventunmila lire austriache, (mentre non aveva toccato un soldo), che egli avesse cercato in tutti i modi di scavalcare il Manin invidiando a lui e perseguitandolo, mentre è noto che se egli, fin dal primo momento, dissentì da lui, e non sempre a ragione, aveva dissentito lealmente sempre; che queste ed altre calunnie gli abbiano fatto sentire il bisogno irresistibile « di porre in chiara luce i suoi intendimenti, raddrizzando le affermazioni altrui torte, e mostrare la coerenza di principi che dall’ inizio alla fine guidarono i suoi atti »'(prefazione, pag. XL), è troppo umano. Allorché nel 1853 usci I’ Histoire de la Republique de Venise sous Manin di Ana-tole De La Forges (Paris, Amyot, 1852-1853), opera che era stata condotta in gran parte su informazioni e documenti forniti all’autore dallo stesso Manin, il quale però dichiarava di non portare nessuna responsabilità dei giudizi di quello, alcuni dei quali erano in completo disaccordo con la sua opinione personale, il Tommaseo ritenne a torto, sebbene in perfetta buona fede (nell'ingiusto sospetto veniva anche riconfermato dal Vieusseux), che l’opera fosse stata addirittura dettata dal Manin. Nel quadro, infatti, disegnato dal De La Forge, mentre tutte le altre figure sono lasciate, quale più e quale meno, nell’ombra, la figura del Manin vi campeggia sollevandosi di molti cubiti su tutte le altre: a vantaggio del Manin sono o taciuti, o diminuiti, o addirittura a lui attribuiti meriti di altri e in particolare del Tommaseo, che non poteva, p. es., non protestare contro la precisa e recisa affermazione del De La Forges che l’idea della resistenza legale, che da lui era stata avanzata e propugnata fino dal 1834, era uno dei grandi meriti del Dittatore. Nè le lodi tributate al Tommaseo, lodi di troppo inferiori a quelli che erano i suoi meriti effettivi, potevano legittimamente soddisfare quell’anima che fu a un medesimo tempo di grande modestia e di smisurato orgoglio; nè lasciarlo impassibile di fronte alla versione di fatti e giudizi da cui le sue intenzioni venivano falsate. Letto il libro, Tommaseo sentì che era debito suo prendere posizione precisa « per dare a ciascuno il suo », adempiendo così quella promessa che aveva fatto poco prima di lasciare Venezia: «Nel mio esilio e nella mia solitudine scriverò le vostre lodi ai popoli che non v’ hanno conosciuti, che v’ hanno abbandonati ; e invocherò la