— 289 — fedele ai principi..... consigliando..... la resistenza, parvi crudele, e io mi glorio della mia crudeltà ». Una volta deliberata la resistenza ad ogni costo, egli intransigente sempre, coerente fino all’assurdo, credette «doversi intendere in modo nè scenico nè curiale la tremenda parola ». Ma, aggiungiamo noi, a modo suo. E ribadisce in altro punto della stessa risposta : « quando un’ Assemblea radunata nel palazzo do-v’ errano le ombre de’ grandi al cui soffio si sciolse la lega di Cambray come nebbia, quando un’Assemblea con decreto solenne colloca se stessa in alto all'ammirazione o al disprezzo dei secoli; allora non è più tempo di dare indietro; e ingegnarsi di torcere a significato volgare le parole sublimi ». DÌ fronte a così recise e precise dichiarazioni, non c’è chi non senta come tale risolutezza d’opinioni, tale ferma e tenace persuasione che, come nella vita privata, anche in politica si debba salvare la coerenza ad ogni costo, perdendo così di vista, per ragioni certo nobilissime, tuttavia accessorie, il fine supremo, portino il Tommaseo inesorabilmente fuori della realtà. Del resto per l’onore, a Venezia, s’era fatto ben più di quanto sarebbe stato indispensabile. Poteva forse l’assemblea attirarsi «il dispezzo dei secoli» per aver posto fine, quando ormai era troppo evidente a tutti quello che il Tommaseo, com’ egli giustamente si vanta, aveva antiveduto prima ancora che la rivoluzione si iniziasse, a un sacrificio diventato ormai inutile ? Certamente no ! Quel mirabile popolo, come riconosce il Tommaseo stesso che ne esalta con commossa ammirazione le virtù del patire e del morire, non aveva forse scritto, sopportando con animo indomito tutti i maggiori flagelli per 17 lunghi mesi, una delle pagine più gloriose della storia di Venezia? A taluno potrà forse apparire esagerato dalla trasfigurazione retorica il giudizio dell'Errerà quando afferma che, apprestandosi alla difesa, Venezia si preparava a dare « un esempio d’eroismo collettivo che avrebbe superato le stesse glorie passate, e che non ha forse pari nella storia» (R. Errerà, Manin, Alpes, Milano, 1923, p. 13); ma resta pur sempre vero il giudizio spassionato di uno storico straniero, avere Venezia « sostenuto con meraviglioso valore per mesi e mesi l’assedio austriaco (L. M. Hartmann, Il Risorgimento. Le basi dell’ Italia moderna, 1815-1915, traduzione di G. Maranini, Vallecchi, Firenze, 1923, p. 131). Abbiamo parlato di contraddizione del Tommaseo nel suo atteggiamento di fronte alla resistenza di Venezia ch’egli vuole ad ogni costo prolungata, e d’altra parte nel suo adoperarsi in contrario perchè la Dalmazia entri nella lotta. Ma da quanto finora abbiamo detto su questo argomento, risulta evidente che questa contraddizione, quando ci si metta dal punto di vista del Tommaseo nel giudicare i due fatti, viene senz’altro a cadere. Il Tommaseo ragiona così: poiché s’era proclamata la resistenza ad ogni costo, bisognava continuarla qualunque sacrificio ciò avesse a costare; nel far quella proclamazione si era commesso un errore? - bisognava perseverare per salvare la propria dignità, la coerenza ; invece non si doveva ripetere quell’ errore nei riguardi della Dalmazia, dove nessuno s’ era ancora impegnato. Resta così spiegata la contraddizione ; ma riconfermata altresì l’incapacità del Tommaseo all’azione, cui spesso il pensiero recide i nervi, non essendo possibile passare da questo a quella senza quella brusca risoluzione (taglio del nodo gordiano che si ripete perennemente nella vita dello spifito) con cui ci affidiamo di necessità ai fattori imponderabili dell’azione stessa. La peritanza poi del Tommaseo di fronte all’ azione si accentua maggiormente quando egli se ne debba assumere la responsabilità. Tuttavia gli scrupoli che lo trattengono di qua dall’azione, convinto ai