— 174 - 11. Mio caro Girolamo L’anno che s’entra, sarà a voi, spero, il principio di nuova vita: non per passare gli esami, non per prepararvi a una professione che vi dia il campamento, non per dimostrare che le lodi a voi date da taluno non erano immeritate in tutto, non per togliere ad altri cagione di gioia maligna, voi studierete oltre a quello che le scuole richieggono; ma per consolare e per soccorrere nel bisogno i vostri cari, per rendervi atto a soddisfare i doveri, d’uomo, di cittadino, di cristiano. Vi sia raccomandato 1’ adempimento, non estrinseco solamente, e molto meno affettato, ma fedele e sincero e coraggioso di tutti i religiosi doveri; dal quale avrà ispirazione l’ingegno, e l’animo dignità. Non solamente la mattina e la sera, ma fra il giorno in mezzo agli studii e a’ diporti e a’ colloquii, inalzate il pensiero a Dio; ricordatevi specialmente di quelli che vi han fatto del bene o hanno desiderato di farvene. Sopra tutti ricordatevi di vostra madre ('), la quale con cure più del solito pazienti allevò la vostra infanzia infer-miccia, e se quelle cure non erano, sareste cresciuto contraffatto, spettacolo di scherno e di pietà, grave agli altri e a voi stesso. E, non fosse anche questo, Ella è vostra madre, e che sin dagli estranei merita riverenza. Siate rispettoso ai maggiori, affabile a tutti; ma sappiate non dare nè prendervi confidenze. Chiedete a Dio pazienza ; educatevi a vincere voi stesso anco nelle piccole cose, per meglio serbare il dominio di voi in quelle da cui pende la sicurezza e la pace della vita e il decoro. Disponete con ordine gli atti della giornata; e a quell’ordine siate fedele. Se non si può nell’ un di, facciasi nel seguente ; ma in capo alla settimana, al prefisso compito non si manchi. Date le ore necessarie al sonno e al passeggio; e segnatamente nel passeggio osservate gli oggetti che si offrono agli occhi vostri, le qualità che li distinguono, le apparenze; e notate in carta le cose che vi pare non aver riscontrate ne’ libri. Così, (1) Diamante Pavello, vedova di Pietro Artale, cui il 3-VII-1851 il T. si unì in matrimonio; e di questa decisione non «ebbe che a benedire Iddio»; provò bensì rimorso delle impazienze con cui amareggiava talvolta la virtuosissima moglie che però sapeva « nel silenzio signoreggiare il dolore e trasformarlo in virtù di nuovo affetto ».