— 179 — una semplice tesi di laurea, è stato condotto a termine con tanta scrupolosità e con tanta ampiezza, con tante fortunate ricerche d’archivio (compiute a Ragusa, in Italia, a Londra), con il raffronto diligente di diecine e diecine di poeti italiani e serbocroati e di molte migliaia di loro versi. Merito precipuo del poderoso lavoro del Torbarina è di aver smantellata la rocca forte della tradizione letteraria che faceva del modesto e impersonale Ragnina una forte tempra di poeta classico e riformatore. Veramente già nel Primo Congresso Petrarchesco Internazionale di Arezzo, tenuto dall’11 al 20 ottobre 1931, parlando della «Fortuna del Petrarca fra gli Slavi meridionali », io avevo dichiarato e il Ragnina e lo Slatarich molto meno classici e molto più petrarchisti di quanto fino allora s’ era creduto o vagamente intuito e m'ero ri-promesso di comprovare la mia « rivelazione » in uno studio speciale. Ma mentre la mia comunicazione aretina era ancora sotto il torchio con tutti gli altri Atti del Congresso, venne alla luce la bella « scoperta » del Torbarina e mi prevenne nel mio ulteriore lavoro, conseguendo all’ incirca quei risultati che io m’ ero proposto di raggiungere. Ed assieme alla scoperta del Torbarina apparve un’altra rivelazione, non meno bella nè meno riuscita, lo studio di M. Kombol, Dinko Ranjina i talijanski petrarkisti nel voi. XI di « Grada za povijest knjizevnosti hrvatske », Zagabria, 1932. Segno che lo smascheramento del Ragnina era ormai fatale. E fu proprio l’alone delle ultime celebrazioni petrarchesche che gli inflisse il colpo di grazia 1 Strano però che il francese Andrè Vaillant, il quale s’è specializzato nello studio della lingua (e la lingua è sopra tutto mezzo di espressione artistica !) dello Slatarich e del Ragnina e conosce ogni loro radice, ogni desinenza, ogni forma ecc. (*) non abbia nemmeno intuito il loro vero organismo linguistico ed abbia detto del Ragnina « ce qui le distingue, c’ est sa forte culture classique » (p. Q)......« la poèsie de Ranjina est pieine de l’influence classique » (p. 10). Ecco a quali grami risultati arriva talvolta la glottologia se la si riduce, come disse brillantemente il Bertoni, ad una mera « crocifissione del linguaggio ! ». Ritornando al Torbarina dobbiamo dire ancora che il suo lavoro ha anche altri meriti. Nella ricerca delle fonti italiane egli non s’è limitato allo studio di quei poeti principali, i cui nomi si ripetono viziosamente in ogni manuale di letteratura serbo-croata, ma ha voluto anche conoscere i loro seguaci, i minori, i minimi ed ovunque ha raccolto nuova messe di raffronti per i suoi accurati parallelismi. Cosi attraverso queste sue belle indagini noi non solo vediamo moltiplicarsi in nuovi anelli la formidabile catena culturale che teneva avvinte le due sponde adriatiche, ma vediamo anche amplificarsi il corredo letterario dei verseggiatori slavi di Ragusa, che finora sembravano attaccati soltanto a singoli poeti italiani. Ormai i nomi di Dante, Petrarca, Serafino, Bembo, Tasso e Ariosto nella letteratura ragusea sono accompagnati da una pleiade di satelliti ed epigoni che non finisce più. E nell’ esame delle relazioni culturali fra Ragusa e l’Italia il Torbarina ha fatto sfoggio bellissimo di nomi, che appena venivano citati. Ma non si tratta di solo sfoggio di nomi, chè egli ha fatto in pari tempo sfoggio di materiale e ci ha narrato tante di quelle cose che non si sapevano e che chi le conosceva (l’Appendini p. es. che certamente è stato di guida anche all’A.) non aveva pensato ad inquadrarle in questi movimenti. Perciò in massima parte è nuovo o sembra nuovo quanto ci narra di Davide Clario, (') Cfr. l’opera voluminosa La langue de D. Zlataric poète Ragusain de la fin du XVI siècle, Parigi, 1928, ed altri studi minori.