— 271 — tava di restringere il futuro possesso italiano al Capo Planca, restando però inteso che a noi dovevano restare tutte le isole, salvo quelle immediatamente prospicienti a Spalato, in ¡specie le Curzolane e la penisola di Sabbioncello (pag. 105). Le trattative non erano però terminate. Esse continuarono ancora con « intensa drammaticità» — dice l’autore. Un altro punto di contestazione sorse nella penisola di Sabbioncello e nelle isole adiacenti (pp. 113 e 117) che, per l’ostinazione di Sa-zonoff (il quale era spinto alle spalle dall’allora reggente Alessandro di Serbia ed era riuscito a mettere davanti a sè la persona dello Zar) finirono coll’essere assegnate alle Serbia. Cosi, eliminato l’ultimo ostacolo, la firma dell’accordo ebbe luogo a Londra alle ore 15 del 26 Aprile 1915 (pag. 144). * * * L’ultimo capitolo, il quinto, contiene le critiche del Patto, dal lato giuridico e politico. Riepiloghiamo le idee. « Cosi — dice l'egregio autore — pur avendo l’animo commosso al ricordo del travaglio di quegli italiani che con sicura fede vollero l’intervento dell’ Italia in in quella guerra che doveva aprire alla nostra patria nuove vie di grandezza, la nostra mente non tacerà gli appunti che possono essere fatti all’elaborazione del Patto di Londra, giacché bisogna sapere fare fungere la storia da maestra degli eventi futuri. E nessun avvenimento meglio di questo si presta a dettarci utili ammaestramenti » (pag. 151). Recentemente, il senatore Henry Berenger ebbe a scrivere che il Patto di Londra è divenuto « inopérant » (pag. 152). Nessuno può mettere in dubbio l’efficacia originaria del Patto di Londra. Nè, sino al termine della guerra, intervenne alcun atto giuridicamente rilevante a togliere valore alle clausole di esso. Anche la defezione della Russia, in seguito all’avvento del bolscevismo, nulla aveva innovato circa gli obblighi reciproci tra la Francia, l’Inghilterra e l’Italia (pag. 153). Diversa dal punto di vista del diritto era, invece, la posizione degli Stati Uniti d’America e della Serbia, pei quali il trattato di Londra era una « res inter alios acta »... Disgraziatamente il nostro governo non notificò mai ufficialmente l’accordo agli Stati Uniti. Sta però di fatto che esso fu fatto conoscere alla Casa Bianca fin dal 1917 da Lord Balfour e che il segretario Lansing, in una dichiarazione fatta dinanzi al Senato Americano il 6 agosto 1919, ammise eh’ esso era stato comunicato al Dipartimento di Stato che però « non vi aveva prestato attenzione » (pag. 155). Una valutazione politica del Patto di Londra ci fa rilevare come, malgrado, e, appunto, nella tenace difesa dei nostri diritti adriatici si sia persa un po’ la veduta d’assieme dei nostri interessi mediterranei. Questo è l’errore centrale dei nostri uomini di Stato, errore che gravò su tutti i negoziati diplomatici da noi intrapresi, prima per l’intervento, poi per la pace (pag. 160). La nostra politica estera fu quindi disorganica, incapace cioè di rendersi conto della unità naturale della sua storica missione, incapace di vedere la necessaria gerarchia dei suoi problemi, in una parola incapace di sintesi (pag. 162). I documenti russi, recentemente pubblicati, ci hanno rivelato di che genere fosse la buona fede dei nostri alleati, che nel 1916 si spartirono l’Asia Minore senza consultarci. Ma fu errore non prevederlo, come fu errore non richiedere un aiuto finanziario più largo e più preciso (pag. 164). Le clausole concernenti l’Albania sono singolarmente importanti. In primo luogo è da porre in rilievo il fatto che, grazie ad esse, veniva assicurata la conservazione di