— 319 — simili in Barberia e Romania, ed è, come questi, di significato molto lato ed elastico. Per gli abitanti del Mediterraneo occidentale esso significava tutto ciò che trovavasi di là dalPAdriatico, senza riguardo alle diversità di lingua e di razza che ne potevano presentare gli abitanti. Per i Dalmati invece esso significò territorio abitato da Slavi. 11 Sacchetti, fiorentino, lo usò certamente nel senso più lato. Male fa quindi 10 Sk. ad invocare per l’ubicazione del luogo di dimora del poeta, la precisazione ragusea «Et dieta Sclavonia intelligatur a-loco qui dicitur Orenta usque ad flumen Lessi », che occorre in un patto commerciale tra Ragusa ed Ancona del 1292 (Smici-klas, Codex, VII, p. 85) ed a porre, con tutta sicurezza, il luogo ricercato nel « forum Narenti », 1’ odierna Qabela. Questi sono problemi suscettibili di essere risolti soltanto da documenti ed è allo storico che se ne deve lasciare l’indagine. Chi abbia presenti le ragioni storiche che determinarono l’affluenza e il concentramento di mercanti fiorentini in Dalmazia deve riportarsi alla seconda metà del trecento, in ogni modo dopo la pace di Zara del 1358. (Cfr. quanto su questo argomento abbiamo scritto in «Archivio storico per la Dalmazia», a. V (1930), fase. 53, pag. 213 segg.). La canzone è senza dubbio posteriore a quest’anno, non quindi opera della prima giovinezza del Sacchetti, nè anteriore al suo primo matrimonio del 1354. Dobbiamo in secondo luogo pensare ai centri di sosta e di frequenza dei mercanti fiorentini in Dalmazia. Zara in questo riguardo tiene il primissimo posto, seguita a grande distanza da Spalato e a grandissima da Ragusa. È, ci pare, decisivo per la nostra ricerca che nel 1368, quasi al centro della colonia fiorentina di Zara, si trovi un « magister Johannes phisicus condam Stephani de Ugutionibus de Florentia nunc salariatus in Jadra», che qualche indizio ci fa pensare essere stato parente di Franco. Una grossa difficoltà può sembrare il fatto che Zara era una città tutta quanta italiana, di lingua, di costume, di ordinamenti e soprattutto dal vivere civile al pari delle altre città d’ Italia, dove certamente non viveva quella dura, nova e brutta gente, che per poco non fece morire 11 Sacchetti di schifo e di dolore. Ma i centri di Dalmazia, e soprattutto Zara, erano punti di partenza per penetrare in quel paese, esterno d’umana conoscenza, e per concludervi buoni e fruttuosi negozi. Ogni di, scortati da schiere di morlacchi, che s’erano specializzati nello accompagnare carovane, piccole compagnie di mercanti fiorentini si spingevano nella Rascia, nella Bosnia, nella Croazia, nella Slavonia arrivando poi sino a Buda. Quali gli oggetti dei loro traffici? Tutte merci rare e di molto pregio. Primo veniva il danaro, il prestito, poi spezie, metalli, particolarmente argento, e panni. Un genere però specialmente li allettava: schiavette balcaniche, eretiche patarene, che poi mandavano o conducevano in patria per rivendere. (Cfr. anche C. Carnesecchi, Fiorentini in Dalmazia, Estr. da « Atti della Società Colombaria di Firenze», a. 1914-15 e 1915-16, pag. 26 segg). È impressionante, a chi scorra negli archivi di Zara, di Spalato, di Ragusa, i protocolli dei notai trecenteschi, il numero degli atti di vendita stipulati circa tali negozi. I compratori spesso, assai spesso, fiorentini; i venditori sempre, quasi sempre, morlacchi. Questi rapaci pastori nomadi, che con rapidità incredibile si spostavano e facevano la spola dall’ Egeo al-l’Adriatico, oltre che nell’allevamento del bestiame, di cui fornivano tutte le città dalmate, s’erano specializzati nel ratto e nella conseguente fornitura di giovani schiavi e schiave. Le anime rapite in Dalmazia venivano vendute in Bulgaria (cfr. la notizia fornitaci da Giovanni da Ravenna, da noi ricordata in « Atti e Memorie della Società dalmata di storia patria », II (1927), pag. 205), quelle rapite in Bulgaria, Serbia e Bosnia, nelle città dalmate. Franco Sacchetti schiavista? Purtroppo ci pare di si. Documenti scritti in cui