— 292 - vano adattarsi all’ idea di discendere al livello tanto più basso, culturalmente e civilmente, di quei Croati, che proprio allora, fattisi docili strumenti delle rapine e dei soprusi dell’Austria nei suoi domini in Italia, s’erano attirata la taccia di barbari e la riprovazione di tutta l’Europa. Il fatto si è che essi non potevano prescindere dalla realtà effettiva della situazione in Dalmazia, dove l’elemento italiano qualitativamente prevaleva. Valga per tutte le altre questa dichiarazione dell’abate Grubisié in una vivace polemica coll’Iviéevié: « Ecco, Stefano, come penso io, che sono Dalmata sino all’ugne, sino alla radice intima de’ capelli; Dalmata e nulla più. Che se a questo mio ceppo dalmato, s’innesta una gemma straniera, non vergogno dirlo, questa fu gemma italiana; ed ho italiana 1’educazione, la lingua, i costumi; e questi, nonché avvilimento, li considero pregi E con me li stimano pregi se non i più, quelli almeno fra i Dalmati, che voi medesimo, Stefano, confessate essere prevalenti per industria ed educazione. E riconoscenti dall’anima a quella gentiie Italia che ci diè il dono più prezioso, onde possano godere gli uomini, la cultura intellettuale, noi professiamo per lei una gratitudine profonda, non peritura; noi l’amiamo d’amore più che fraterno, di quell’amore riverente, che ogni animo ben fatto sente indelebile per la nutrice » (cit. in Kasandric, pp. 49-50). Cosi pensava una corrente, altrimenti un’altra e un’altra ancora: mancavano, come dicemmo, idee chiare e le varie tesi erano o contraddittorie in sè, o discordi da altre, o addirittura opposte. Naturalmente più fiera era la lotta tra l’elemento che aveva la coscienza della propria italianità, i cosiddetti italo-dalmati, e gli altri, gli slavo dalmati; epperò anche le affermazioni in questo campo della lotta erano più intransigenti, più lontani, anzi opposti i punti di vista. Così, ad esempio, se il Comune di Spalato, all’ invito di Zagabria di inviare propri delegati al congresso che doveva trattare dell’ annessione della Dalmazia alla Croazia, rispondeva categoricamente : « non poter Spalato formar parte di una nazione di cui non conosceva la lingua, parlata in Dalmazia unicamente da illetterati e nota forse ad una ventina di persone colte »; ecco saltar su Ladislao Vezic, dalmata di origine ma vivente in Ungheria, e ribattere, con poco senso della realtà, che la Dalmazia, « la quale per lingua, sangue e storia formava, come i Confini Militari, un solo corpo colla Croazia », doveva annettersi a questa (Kasandrié, op. cit., p. 14). Più equanime Stefano Iviéevié, che amava dirsi « slavo per la vita », e che scrivendo nella Gazzetta di Zara intorno alla questione linguistica e nazionale in Dalmazia, energicamente protestava contro le pretese egemoniche degli italo-dalmati, onestamente riconosce che nella Dalmazia litoranea prevale 1’ elemento italiano, mentre nel retroterra montano quello slavo, e giudica il primo prevalente « nel peso specifico », il secondo « nel peso assoluto », propenso a cercare una piattaforma dove sia possibile la collaborazione dei due elementi, ineliminabili entrambi. Dopo questi accenni, non possiamo addentrarci maggiormente nella questione; ma anche così risulta evidente come il momento fosse in Dalmazia quanto mai delicato. Nel già citato articolo del Randi sulla politica del Tommaseo, che è un primo onesto tentativo di cogliere, attraverso le mille incongruenze, perplessità, oscillazioni, deviazioni, contraddizioni, la linea di sviluppo delle sue idee politiche, di unificare e chiarire tante manifestazioni sparse e spesso incerte e contrastanti, è sostenuta recisamente la tesi che nel ’48 il Tommaseo, il quale pure per un certo tempo s’ era lasciato allettare dalla sirena illirica, per ragioni sentimentali, ma soprattutto perchè di quel movimento gli premeva servirsi come di arma nella lotta mortale