— 144 — tello consanguineo degl’italiani dell’altra sponda, si mostrava ostile alla lingua forestiera e difendeva strenuamente il patrimonio trasmessogli dagli avi, la « lingua latina ragusea ». Il dalmatico, è vero, fra breve tramonta a Ragusa, lasciando però una ricca eredità al dialetto slavo cittadino ; ma non tramonta la coscienza che aveva trovato espressione in quelle deliberazioni del Consiglio dei Pregadi; il poeta Elio Lampridio Cerva (1460-1520) ne sarà il portavoce all’alba del nuovo secolo. Se lo slavismo avesse pervaso la vita cittadina, come afferma il prof. Skok, se nel secolo XVI e più tardi i Ragusei fossero divenuti « Slovinci » e la loro lingua fosse stata unicamente « jezik slovinski »; se nessuna traccia del loro antico sentimento romano si fosse conservata, e gli autori ragusei fossero stati unanimi nell’ insister sul loro sentimento slavo, il ridicolo certamente avrebbe ucciso chi proprio in quegli anni, come il Cerva, osava affermare « non tam Romani quam Rhacusam esse romanam puto, nec magis Athenas atticas» (‘), e nei suoi versi amorosa-mente esaltava la propria città come « propago vera, verior colonia bis prolesque Quiritium »; (2) invocava il ritorno del « haereditarius urbis et vernaculus peculiaris Rhacusae sermo... .........sermo pristinus Quirinalis, diis optimis faventibus, qui nuper exolevit intermortuus dirae colluvione oppressus viciniae » (3) e faceva così parlare la sua patria : « Nec sapio Illyriam, sed vivo et tota Latina Majestate loquor » (4). Nè la sua voce restò isolata. Il suo contemporaneo e concittadino Lodovico Cerva Tuberone (1459-1527) a proposito dei Dalmati dava questa (‘) Racki: Iz djela E. L. Crijevica, in « Starine >, IV, pag. 190. (2) Racki; Op. cit., pag. 170. (3) Racki: Op. cit., pag. 171. (*) P. C. Tadin: Elio Lampridio Cerva, in • Rivista Dalmatica •, A. Ili, fase. 6, pag. 284.