232 nell’ Aroldo. E in ciò non gli si fece grazia veruna, gli si diede puramente il suo giusto. Imperciocché il Pavanì ha una bella e nitida vóce di tenore, un po’ sottile, se si vuole, ma fresca, intonatissima (così e’ se la risparmii, e non isprechi quel fuggevol tesoro col soverchio sforzarsi e gridare ; poiché, quanto a questo, è un fatto : egli grida ! ) ed ei J cantò con finezza ed eleganza di modi, con espres-sion conveniente, quel gioiello dell’ aria del prim’ atto, il famoso duetto colla donna nel terzo, e tutti gli altri pezzi, in cui si domanda più passione che forza. Il Bellini è di que’ tali cadetti,1 di cui sopra toccammo : un giovanotto, che fa mirabilmente da vecchio, Egberto, il padre di Mina. Egli ha gradevole aspetto, neite e superbe basette e barbetta, tanto che non ebbe il feroce coraggio di farne olocausto stali’ altare della fedeltà del costume, nel D. Pasquale ; ed a questo aggiugnete il più bel metallo di voce da baritono, bonissima scuola, sapere e buon gusto di canto, accento ed anione drammatica. Egli ha nel taschetto il bastone di maresciallo. Forse il meglio di lui s’è perduto per