233 le ragioni che si diranno appresso ; ma è certo che 1’ aria, piena di tanta musicale energia, nel terz’ atto, fu da lui detta con la più gagliarda espressione, se anzi alquanto non esagerò nella cabaletta. A far breccia in quel pezzo non occorre che la semplice esecuzion della nota. Non ci si può metter più fuoco di quel che ci ha messo il maestro : cercando di più, si guasta. La parte di Mina è affidata all’ Abbadia. L’ Abbadia è un bel nome ; non so se sia nome da cartello, ina certo ella montò' sempre i maggiori teatri ; e qui fu accolta nella prima romanza, e nell’ aria seconda, col debito onore. Ma, ahimè !, finita quest’ aria, alla vista di Godvino, all’ udirne la voce, un certo amo, che non ha definizione possibile, Mina, e ne aveva tutto il diritto, si sente mancar il cuore, s’ appoggia alla tomba della madre, le si piegano le ginocchia, e cade boccone dietro quel finto sasso. Quest’ atto non era dal libretto previsto ; Francesco Maria Piave non l’aveva immaginato: egli è uno svenimento vero, reale, patologico, e a Godvino non rimane altro che il rimorso e il disturbo di strascinar come può quel corpo, privo di sensi, entro le scene.