ì 30 sim0^ mlignifico, illustre, illustrissimo. Il diadema, o per dir me-glio la berretta di velluto rosso (poi appellala Corno) usala dal dogfj la di lui purpurea dalmatica, o tunica alla consolare, i purpurei calzari erano uguali a quelli dei duchi e re Longobardi, pari il maestoso bavero di ermellini o di vai, che gli scendea sopra la veste ; siccome essi, il doge avea particolari guardie, e ufficiali, che soprantendevano alla coltivazione delle sue terre., e alia riscossione delle rendite e dei censi ; siccome essi, il doge avea nel suo palagio una cappella ; siccome essi, alzavasi prima dellT alba affin di assistere colà ai divini offizii celebrati da’ prò-prii cappellani. Obbligavano i re Langobardi i nativi dei conquistati paesi a pagar loro una terza parte dei frutti della terra, e i dogi Veneziani esigevano censi eli erbe, di frutte, di sale, di uccelli, di pesci e di pelli di martora., percependo per il taglio della legna nei boschi una gravezza appellata stirpatico, per il pascolo dei porci un’ altra delta glandaritio. Molto onorifico presso i Langobardi, e proprio soltanto dei grandi personaggi, il diritto di cacciare in alcuni siti riserbati, eziandio il doge ue u-sava in alcune determinale selve, appartenendo a lui solo le conia dei cervi, la testa e le zampe dei cinghiali uccisi, che a prova di perizia e di virtù si appendevano alle pareti delle sale ducali, Può dirsi pertanto, che i primi dogi abbiano vissuto alla foggia stessa dei re loro contemporanei, Se non che, avvedutasi la nazione che l’autorità somma dei dogi, ed un quasi assoluto di lei esercizio potuto avrebbero pregiudicare, e altamente, ai di lei interessi, venne a mano a mano a reslrignerne cosi i limili da non lasciare a’ dogi che una vana apparenza di sovranità. Era concesso al doge di presiedere a tutti i Consigli, e di proporvi qualsivoglia affare, ma nelle deliberazioni non avea che un solo voto. Trovavasi il nome di lui impresso sopra tutte le monete, ma gli era vietato di farvi imprimere la propria effigie, e le arine gentilizie. Gli editti e le gride portavano sempre in fronte la leggenda « Il Serenissimo Principe fa sapere, » e le lettere credenziali degli ambasciatori della repubblica alle corti erano scritte in nome del doge, ma a lui non era permesso di soscrivere uè le prime nè le seconde, nè di apporvi il proprio sigillo. Erano i dispacci dei detti ambasciatori diretti al doge stesso, ma non potevano'da lui essere aperti che alla presenza dei suoi Consiglieri,, ai quali d’ altronde non era disdetto di poterli ieg-gere, e di rispondervi anche senza renderne avvertito il doge. Non potea questi uscir di Venezia senza licenza dei Consiglieri anzidetti, ma, uscendo, questo piacere di libertà gli valeva la mortificazione di non essere allora riconosciuto per doge e di essere considerato solamente siccome un semplice privato. Vietato era