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el qual venuto da me et per i più antighi di san Nicolò mi fu appresentato il silo Stendardo, el qual solenemente consegnai el Stendardo al detto ser Antonio in zenochion constituendolo, et dette per mi queste parole : Io te consegno questo Stendardo per nome del Serenissimo Principe, et della Serenissima Signoria mia in segìio di Capo, Gastaldo Principal del popolo di san Nicoli e san Iiafael. » Da poi veramente iti publicà1 Gastaldo a suon di campana della chiesa predetta, et a laudalion del popolo, che si allegrava. » In uno poi dei giorni successivi 1’ eletto, preceduto da trombe e tamburi, da un alfiere, che portava il detto stendardo, colla immagine di san Nicolò, ed accompagnato dal pievano di quella contrada, dai parenti e dagli amici presentavasi al doge in Collegio affin di ricevere la conferma della carica conferitagli. Introdotto nell’ aula da un segretario del senato, il doge
lo	esortava ad esser buon padre di quella famiglia et ossequioso alla pubblica maestà, che ciò facendo egli medesimo gli sari'bk sempre protettore, e lo assisterebbe nelle occasioni. Dopo queste parole T eletto si accostava al doge, ed inginocchiatosi a’suoi piedi gli baciava la mano, indi il manto. Restituitosi collo stesso seguito alla propria contrada, ed intervenuto a solenne messa cantata dal pievano, convitava poscia i parenti e gli amici mentre que’popolani faceano rallegramenti grandissimi, e maschere.
     Il	doge dei Nicolotti vestiva nelle pubbliche funzioni un’ampia veste, ch’era, conforme le stagioni, or di raso, or di tabi chermisini, or di panno scarlatto con pelli di dossi o di vai: usava calze chermisine, scarpe di marrocchino dello stesso colore, una piccola parrucca nera rotonda, berretta da gentiluomo, guanti bianchi : ordinariamente non facea uso che delle scarpe e delle calze chermisine. Aveva il privilegio di seguitare il doge con una barchetta, legata alla poppa del buceutoro, allo sposalizio del mare nel giorno dell’ Ascensione ; il diritto di esigere una tassa sopra tutte le barche pescherecce della sua contrada, e quello di tener due panche da pesciaiuolo nelle due grandi pescherie di I san Marco e di Rialto. Annualmente dava al doge un censo di lire ventidue e di dugento cefali, offerendo, parimente in via di tributo, duemilaquattrocento di questi pesci ai Giudici del Proprio, e cento altri al Cavaliere del doge.
     DOMENICO (chiesa e convento di san). Erano dei frati dell^' dine dei Predicatori, e sursero nella contrada di Castello (preci; sámente nel sito, in cui si vede ora il primo viale dei pubblici giardini) tra il 4512 e il 4517 per le largizioni del doge Mari«* Zorzi. Nell’anno 4560, tolto ai Francescani da Pio papa IV I’11*' fizio del Supremo Inquisitorato contro gli eretici, fu esso ^