132 MARCO CORNARO Cornunis Padue dederant licentiam illi Abbati ibi hedificare molendina ad suani vo-Inntatcm, et eo ubi veld, quia dicebat habere magnimi damnum de incisione Brente super suas terras » ». Per li quali testimonii chiaramente se vede come la Brenta fo taiada a Noventa 2 del sec. XII da lui consultate, tal voce è adoperata « a significare una cateratta o sostegno per dare o torre 1’ acqua ai canali e pare per uso dei molini o per lasciar correre il legname a seconda dell’ acqua » (Gennari, op. ci/., p. 63 e seg.). E evidente che qui si deve intendere uno sfogo senza sostegni o impedimenti di sorta, altrimenti i battellieri avrebbero preferito il transito al monastero o un’ altra via. Stabilito ciò, resterebbe poi da vedere se si tratta di nome comune o di nome proprio. Nei doc. del Trecento trovasi nominata una Bam-patura con valore di nome proprio fra i molini di Casa Marcello sulla Lenzina e il Volpadego (v. Appendice a questa Pa.VSe s’intendesse parlare di tale Bampatura, come propende a credere il Bellemo (op. cit., p. 126), allora bisognerebbe ammettere che il Canal Mazor servisse da scaricatore della più importante massa della Brenta e che il fiume naturale, per il quale dovevano scendere i battellieri, non volendo oltre passar 1’ argine dell’ abazia, fosse il Volpadego. Non sarebbe improbabile ciò, perchè, come vediamo nella nota successiva, qualcuno dei testimoni del 1177 pensavano che così fosse. E la Bampatura sopraddetta, essendo posta fra la Lenzina e il Volpadego, sulle cui foci^ funzionavano dei molini, potrebb’essere stata benissimo lo sfogo di quest’ ultimo fiume, Nella carta Valier il Volpadego è in comunicazione con la Brenta per mezzo della Fossa dei Molini. 1 II Cornare non prese in esame le altre testimonianze sentite nella stessa occasione, (anche il Corner non le riportò, esse furono raccolte dal Bru-nacci, v. Diplomata Patavina ¡11 Bib. Marciana, Lat Class. X n. (99, c. 285 e seg.), ma meritavano certo una qualche riflessione quelle che riguardano l'identificazione del * fiume pubblico » o Piovega. Qualcuno assicurava che esso era alimentato dalla Tergola, l’antico Clarino probabilmente. Infatti un teste diceva che questo fiume pubblico « sit Tergula que descendit de Aunaria (Onara) usque ad Sanctum Ilarium et deinde in aquam salsam ». Altri però non sapevano pronunciarsi ili proposito e chi diceva fosse il « ftumen de Auriglaco (Oriago) », chi il « flumen de Pladene (Pladano) » chi il « Bol-pargo ( Volpadego) ». I più però, fra i quali 1’ avvocato del monastero, Wal Wano da Fiesso, rinunciano ad ogni identificazione e si limitano ad esporre questo pensiero : che esso non doveva correre davanti alla abazia e al borgo di S, Ilario. (Marzemin, op. cit., pa. I, p. 118). Se noi ora prendiamo in esame con quelle addotte dal Cornare anche queste deposizioni e consideriamo, elemento importantissimo, il tempo in cui ebbero luogo fra il 1174 e il 1177, veniamo alle seguenti conclusioni inoppugnabili : I Che prima del 1143, già da tempi immemorabili, non esisteva più da queste parti il Medoaco maggiore o ramo sinistro della Brenta. Se ci fosse stato, si sarebbe potuto scendere per esso a Venezia, almeno per un buon tratto. II Che da Padova e dintorni, per scendere a Venezia, bisognava prendere a Noventa la Piov igeila, una piccola fossa pubblica, canale artificiale, molto probabilmente scavato nell’alveo dell’antico Medoaco, come furono più tardi quelli di Strà e di Limena, ed alimentato con le acque della Tergola discendente da Onara. Ili Che il Porto del Monastero fu quasi certamente 1’ antico « ad Portum » e il moderno Porto Menai. IV Che la continuazione della Piovigella dal porto alla laguna, era un alveo naturale, probabilmente 1’ alveo del Volpadego. V Che al suddetto Porto si poteva oltrepassar 1’ argine, pagando il pedaggio, entrar in un lago del monastero (lago di Vigulo o del Visignone) e più brevemente giungere a Venezia ; altrimenti bisognava far un viaggio più lungo al di là di S. Ilario, giù per un fiume naturale, che poteva essere benissimo il Volpadego, e uscir fuori per una Bampatura, che in tal caso era certo la Bampatura presso i molini di Casa Marcello. VI Che dopo il 1143, in cui dai Padovani si riversò 1’ acqua della Brenta nei vari alvei del delta ilariano, i monaci con argini e con fosse cercarono di- deviarla lontano dal loro monastero, specialmente nel Canal Mazor, tronco superstite dell’ antico Medoaco. VII Che, per i danni subiti e le spese sostenute, fu nel patto di pace aumentato loro il pedaggio e concesso il diritto di costruir mulini lungo i corsi d’ acqua del proprio territorio fino a Noventa. VIII Che verso il 1177 questa strada di navigazione era stata abbandonata da qualche tempo, perchè la gran massa d’ acqua della Brenta s’ apriva irresistibilmente la via della Mira e di Oriago. Infatti nei testimoni uditi in tal tempo, della Piovega antica e della navigazione sopra il monastero di S. Ilario non c’ è che un ricordo confuso. Dicono d’ aver udito, non d’ aver veduto questa Piovega, confondono 1’ un corso con 1’ altro ed anche il prezzo del pedaggio. 2 II Marzemin, appoggiandosi ad Andrea Mocenigo là dove scrive : « Patavini novam scissuram fecerunt