ALBANIA tadinanza e libertà, nella Serbia, nella Moldavia e Valacchia fu temperata talvolta per considerazioni politiche d’opportunità e più ancora per calcolo d’interessi materiali e di difesa etnica, per mantenere una distinzione esterna fra cristiani e vincitori ed assicurare a questi i massimi vantaggi della conquista. Nell’Albania le tribù del nord difesero invece con le armi alla mano il diritto di professare la religione cattolica e quelle del sud la fedeltà all’ortodossia bizantina, anche negli anni in cui il Patriarcato e i Fanarioti davano lo spettacolo del corrompimento a contatto del Turco e si facevano complici dell’oppressione acquistando al più alto prezzo dalla Sublime Porta i benefici, i titoli e le cariche, compresa quella suprema. Il patriarca, gli arcivescovi, i vescovi diventarono gli alleati e gli amici dei vizir, dei pascià e dei cadì e se ne valsero per l’opera di ellenizzazione dei paesi slavi, che riempirono dei loro prelati e papades. Malissori, Mirditi ed Epiroti rifiutarono sempre di riconoscersi raja e salvarono con la fede il diritto di portare le armi, di farsi giustizia privata contro l’ingiustizia del regime, di garantirsi le essenziali libertà, la dignità di uomini non rassegnati alla schiavitù e l’avvenire. Il loro atteggiamento fiero e bellicoso riuscì ad imporre alle autorità ottomane una revisione della politica di governo del paese. E ne venne un effetto insperato. Fin quando la conquista vigoreggiò puntando sulle capitali dell’Europa centrale, la decima del sangue o tributo dei ragazzi (devsciurmé) strappò alle famiglie cristiane d’Albania i bambini più sani e robusti che venivano portati a Costantinopoli, circoncisi, allevati nella religione maomettana e nelle abitudini turche per formare i quadri della terribile milizia dei giannizzeri e diventare inconsciamente gli 63