ALBANIA teso altro che mettersi nelle migliori condizioni per schiacciare o ridurre all’impotenza i suoi avversari: i membri della famiglia Toptani, i Doda, i bey di Pri-shtina e di Klissura, i preti cattolici del nord e quelli ortodossi del sud contro i quali nutriva una singolare avversione di fanatico ottomano e dei quali temeva l’attiva partecipazione alla vita politica del paese. Nè forse poteva essere altrimenti in un uomo della sua educazione e formazione. In politica estera il suo programma era di una semplicità veramente balcanica: ostilità permanente verso la Grecia che sapeva ormai incapace di riprendere la marcia contro 1« alto Epiro » dopo il disastro del 1922 in Asia minore, le rivoluzioni a serie dal 1923 al 1935, l’opposizione dell’Italia. Verso l’Italia e la Jugoslavia applicazione della frusta formula turca del divide et impera, senza capire che tale sistema può tornare utile soltanto da chi è più forte dei singoli che vuol sfruttare. Non seppe neppur prevedere l’eventualità di un riavvicinamento tra Roma e Belgrado, il quale sarebbe stato tutto ai suoi danni nè egli avrebbe potuto mai impedirlo: accettò i suggerimenti degli agenti franco-inglesi, i quali a Tirana come a Ginevra, puntavano a loro volta sul dissidio italo-jugoslavo nei giorni in cui la Francia credeva di avere incrollabili succursali a Varsavia, Praga e Belgrado. Gli stessi avvenimenti del triennio 1935-1938, che mutarono completamente l'equilibrio delle forze politiche in Europa e perfino la carta geografica, non dissero nulla a re Zogu I: egli era persuaso che l’interesse dell’Italia per l’Albania si identificasse con la sua persona. A disilluderlo venne lo sbarco a Durazzo. 169