ALBANIA fu quasi esclusivamente italiana e che all'estero ci è stata disconosciuta: il salvataggio dell’esercito serbo in completa dissoluzione, affamato, distrutto dalle fatiche, dal tifo esantematico, dal colera e dalla dissenteria. Una fiumana immensa di oltre centomila uomini alla testa dei quali stava lo stesso Re Pietro scendeva su Tirana e Elbasan; un’altra di cinquantamila si avvicinava a Scutari e Alessio col principe Alessandro. Spiccavano nelle file dei fuggiaschi i vecchi voivoda che avevano visto le vittorie delle due guerre balcaniche e i giovanissimi in gran parte inferiori ai sedici anni. Con le truppe erano più di cinquantamila quadrupedi e trentamila buoi, un centinaio di cannoni col relativo munizionamento. Sul lungo percorso, ostacolato anche dalle difficoltà naturali del cammino e dall'ostilità degli albanesi del nord non dimentichi delle baldanzose avanzate serbe del 1912 e 1913, le colonne si frantumarono in incomposte ondate di sbandati ridotti nelle peggiori condizioni. L’aiuto dell’Italia fu decisivo per la loro salvezza. Campi di concentramento furono impiantati a Feras e Arta per accogliere i profughi incontro ai quali vennero inviate colonne di viveri e materiale sanitario. Dai porti dell’Albania, da S. Giovanni di Medua a Valona, con l’aiuto di soli tre piroscafi alleati (uno francese e due inglesi) la Marina italiana in meno di un mese trasportò i prigionieri austriaci all’Asinara, 156.000 serbi e 10.000 quadrupedi a Corfù, impegnandosi anche in azioni navali contro la Marina austro-ungarica che ebbe danneggiato un incrociatore ed affondate due nuovissime potenti cacciatorpediniere. Il 23 febbraio 1916, quando ormai il distaccamento di Durazzo aveva assolto il suo compito, gli austriaci, 95