ALBANIA barcandosi sulla nostra Misurata, che lo riconduceva a Venezia, non senza avergli lasciato lanciare da Ancona un proclama agli albanesi in cui affermava la speranza di un prossimo ritorno. Il regno brevissimo del Re uscito quasi improvvisamente dalla solitudine di Neuwied, dove era andata a offrirgli la corona sei mesi prima la deputazione presieduta da Essad pascià, aveva gettato i semi di molti odi che non avrebbero tardato a dare i loro tristi frutti. Andandosene, Guglielmo I aveva lasciato l’Albania ancor più divisa e mutilata; il dissenso fra mussulmani e cattolici s’era aggravato: i primi accampandosi sulle alture di Durazzo il 23 maggio avevano mostrato di diffidare dei consiglieri che l’Austria aveva messo intorno al Re e così era diventato più aspro il contrasto fra gheghi e toski. Mancò insomma una vera unità di comando, una autorità che fondesse insieme le divergenze e desse al regno nato in mezzo a tante difficoltà un orientamento politico e amministrativo, il senso di un potere equilibrato e capace di farsi rispettare. La confusione e l’anarchia piombarono nuovamente sul paese in preda alla più amara delusione. Intanto una Commissione internazionale avrebbe dovuto prendere in mano il governo. Ma i ribelli inalzarono a Durazzo la vecchia bandiera turca dichiarando di non volerne più sapere del biondo monarca. Il senato albanese assunse il governo il 23 settembre; nell’ottobre Essad pascià costituì a Durazzo un nuovo governo provvisorio. Nel frattempo i montenegrini calavano su Scutari e conquistavano il Tarabosh; i serbi riprendevano la marcia attraverso l’Albania settentrionale; i greci minacciavano Valona e promuovevano la costituzione di un « Governo provvisorio 87