ALBANIA meno la guerra europea e l'occupazione dal 1914 al 1920 sono bastate a scuotere l’indifferenza generale, la mancanza d’attenzione, la scarsità di nozioni che sembravano per sempre acquisite dal pubblico nostro ed erano soltanto frutto della politica rinunciataria, effetto di pigrizia mentale e di stanchezza sfiduciata del famoso periodo delle « mani nette » che ci fece perdere anche la Tunisia e l’Egitto negli anni in cui parve che tutte le questioni di una nazione in continuo aumento come l’Italia dovessero risolversi nel rapporto fra salari e costi della vita. Dobbiamo avere la coraggiosa sincerità di riconoscere che per decenni e decenni siamo stati preceduti in Albania non appena da consoli, missionari, cartografi, agenti politici e commerciali dell’Austria quando ancora pareva impossibile distaccare l’aquila bicipite di Skanderbeg dalle bandiere della Mezzaluna per abbinarla a quella degli Absburgo, ma anche da esploratori geografi, viaggiatori, filologi, storici americani, inglesi, francesi, perfino della piccola Serbia, della modesta Romania, della decaduta Grecia, i quali percorrevano le regioni dal doppio Drin alla conca di Delvino in cerca di pretesti politici e di argomenti scientifici, spesso infondati e puerili, a giustificazione di colossali programmi imperialistici e irredentisti. Le nostre rare eccezioni sono rappresentate, per quanto bene, dal Baldacci che percorse l’Albania per un decennio, dal 1892 al 1902, e la conobbe sotto tutti gli aspetti dal Montenegro al golfo d’Ambracia; dal Martelli che condusse nel 1912 un’esplorazione geologica nell’Albania centrale e meridionale; dalla missione dell’anno successivo inviata dalla Società italiana per il progresso delle scienze. Ed eccezioni fu- 13