— 258 — Camillo Drago, Francesco e Vincenzo Bucchia, Clemente Ragnina, Girolamo Bertucci, Giovanni Alberto Duimio, celebre teologo, ecc., e fermiamoci un poco a considerar la figura di Lodovico da Ponte, l’identificazione del quale avrebbe grande importanza per la conoscenza della giovinezza del poeta. In morte di « Messer Lodovico da Ponte » o « Ludovicus Pontanus », il Pasquali scrisse una corona di cinque sonetti, e la selva « Calidorus et Argantus pastores», che abbiamo vista brevemente riassunta dal Carrara. Chi sia questo Fontano è difficile dire. L’Appendini e il Gliubich sembra lo scambino con Gioviano Pontano *), cosa manifestamente assurda, perchè quando questi mori, il nostro Lodovico era poco più che treenne. Che egli sia stato assai noto per la sua dottrina e per la sua opera, starebbero ad attestare i sopra citati sonetti del Pasquali, di cui il primo comincia con la strofa: Il mio Pontan che co’ i lodati inchiostri Ritratti in vive, et non caduche carte De 'I mondo ingombra ogni lontana parte, Adorno d’altro che di Perle, et Ostri. Non dobbiamo dimenticare però che siamo in pieno Cinquecento, quando le consuetudini portavano i letterati a reciprocamente incensarsi, rivolgendo lodi iperboliche e pronosticando gloria imperitura anche a scrittori del tutto insignificanti, dei quali è già molto se sono giunti fino a noi i nomi. Per parte sua il K. s’industria di dimostrare che il Lodovico da Ponte di cui il P. piange con tanto accoramento la morte, è il famoso umanista di Belluno, che latinamente si chiamò Pontico Virunio, ed ebbe a maestri Lorenzo (!) Valla a Venezia, e Battista Guarini a Ferrara. Di lui, vissuto dal 1467 al 1520, tra le molte opere che scrisse (fu anche poeta), vanno ricordati specialmente i sei libri «Britannicae historìae» e il « De recondita historia Italiae». Secondo noi, nessuno degli argomenti portati dal K. a dimostrazione della sua tesi ha valore probativo, alcuni anzi decisamente le sono avversi, come il terzo sonetto, in cui si parla di «acerba e repentina morte , o l’elegia latina, dove è detto che il Pontano mori « ante diem, medioque abreptus in aevo », espressioni che mal si convengono ad un uomo che morì avendo oltrepassata la cinquantina, quando per noi è cosa pacifica che il «mezzo del cammin di nostra vita» debbono considerarsi i 35 anni.rMa anche prescindendo da ciò, dove ha pescato il K. la notizia del soggiorno del Virunio a Cattaro? Chi si occupò molto ampiamente di questo dotto umanista, fu Apostolo Zeno (Dissertazioni Vossiane ecc., Venezia, Albrizzi, 1753, v. II, pgg. 293-316), ma di un suo ipotetico soggiorno in Dalmazia in esso non v’ è cenno, mentre è detto esplicitamente che gli ultimi anni li passò a Bologna e morì, secondo quanto afferma il Burchelati, (op. cit., p. 308) a Treviso o, secondo altri, a Bologna; ma non a Cipro, come si dovrebbe ammettere accettando la tesi del K. Molto probabilmente anche qui il nostro critico prende una delle solite cantonate, per la deplorevole leggerezza (chiamiamola pur così) con la quale segna date, cita nomi e fatti, riferisce citazioni, formula giudizi. Come più sotto lo vedremo risuscitare con molta disinvoltura un morto, così qui egli sembra scambiare Lodovico *) « Era pure — scrive l’Appendini (op. cit-, p. 30) — in stretta famigliarità col celebre poeta Pontano»; e il Gliubich (op. cit., p. 240): «Ebbe amico il celebre Pontano ,