— 270 — non si peritò di abbandonare in balia del vecchio padre sanguinario l’amata moglie, scordando persino, tanto era il terrore da cui era invaso, di baciarla, per non farne un personaggio intimamente contraddittorio e quindi artisticamente insignificante. L’interesse di questo libero rifacimento del mito delle Danaidi, che il K., il quale, a quanto mi assicurano, dovrebbe essere professore di latino all’ Università di Zagabria, ha il torto gravissimo di non essersi avveduto che è di schietta derivazione ovidiana, anche se il Monaldi ha storpiato un po' i nomi, facendo di Ipermnestra un’ Ipermestra, e di Linceo, come veramente si chiama l’unico Egiziade sfuggito alla strage, un Lino, l’interesse di questo rifacimento, dicevo, è tutto nel metro adoperato, quell’ endecasillabo sciolto (il K. questa volta si limita prudentemente ad affermare che sono versi non rimati, senza specificar quali) che, sul principio del secolo, Giangiorgio Trissino aveva adottato con felice intuito per la sua Sofonisba e che, dopo aver già allora diviso il campo coll’ ottava del poema cavalleresco specialmente nelle traduzioni dei poemi greci, rimase presso di noi il verso tragico per eccellenza. Scarsa importanza hanno le rime amorose del Monaldi, che non occupano neppure, come invece quelle degli altri due poeti esaminati, un posto numerica-mente preponderante nel suo Canzoniere. Egli ebbe, come confessa da solo nel primo madrigale (/?., p. 183), il suo modello nel Sacro Tosco gentile Che sopra Sorga al suan dei dolci accenti Fece più volte già fermare i venti. La storia del suo amore è quella medesima di tanti altri rimatori del suo secolo, che senza sincerità e senza quindi nessuna nota originale, si posero pedissequamente sulle orme del Petrarca : tutto fa supporre che la passione cantata dal poeta non gli abbia mai realmente infiammato il cuore, ma sia frutto soltanto della sua immaginazione. Infatti, se già per il Pasquali e per il Bobali abbiamo dovuto lamentare la scarsità di riferimenti concreti alla realtà della loro donna, qui ogni nota è così generica, così vaga ed imprecisa, che vana impresa sarebbe volerne trarre una deduzione qualsiasi. Nulla c’ è dato di sapere del nome di Madonna, perchè se il sonetto che comincia (/?., p. 204 b): A che pianger la bella, e casta Irene O cieco mondo...... sembra parlare a favore di un’ Irene, quello Per la Sig. Fiore Zuzzeri Pescioni al Boccabianca» lascerebbe supporre che questa ai suoi tempi famosa rimatrice, che del poeta fu cugina, ne avesse anche infiammato il cuore; e tale supposizione potrebbe trovar conferma nei versi del sonetto (R., p. 199 b) dove lamenta la morte della donna amata : contro di essa, dice rivolto a lei, non ti furono ...... schermo il puro core O le tue rime sì leggiadre e scorte, Che al mondo ti daranno eterno onore. Senonchè la Zuzzeri sopravvisse di quasi dieci anni al Monaldi, e sappiamo d’altra parte che anche in Dalmazia, come nel resto d’Italia, numerose furono le donne fornite di buona cultura che allora si dedicarono alla poesia. E del