- 6 - rivoluzioni da cento in cento anni, quasi che i grandi rivolgimenti sociali 6 le relative manifestazioni spirituali aspettassero il Capodanno o il principio d’ogni secolo per iniziare la loro attività. Lo si fece d’altra parte per delineare il quadro interiore entro una cornice esterna che presenti qualche finitezza formale e si presti ad un’ armoniosa conciliazione di vari elementi. Inoltre la 1909, N.o 5). Più tardi A. Pavic sottolinea bene: Dubrovackoj hrv. literaturi fali svaka ori' ginalnost, ona je samo u toliko hrvatska sto je pisana hrvatskim jezikom.,..; aristokrati Dubro-vacki, a iz tih redova jesu pisci, ti nijesu nikada zaboravili svoga tudjega, ili da bolje recemo pravoga poriekla ! . .. » cioè italiano (in Rad» XXXI, 1875, p. 145 e 147 di: « Prilog k historiji Dubrovacke hrv. knjizevnosti »). Quest’ ultima opinione del Pavic non è casuale ! Frequente poi è il caso, in cui letterati e croati e italiani manifestano nelle loro opere il loro attaccamento all’ Italia, progenie e Musa loro. Di E. L. Cerva si è detto già tante volte, nè è già qui necessario ripeterlo ; basta ricordare la sua esauriente produzione latina in parte illustrata da Fr. Racki in .Starine», IV. Anche l’amore all’Italia di M. Veti ani è già noto nè fa d’uopo schiarirlo qui maggiormente; le sue opere sono raccolte nel 3.o e 4.o voi. della collezione «Stari hrv. pisci dell’Accademia jugosl. di Zagabria. Poco citato è stato invece il meraviglioso epicedio di G. Palmotta in morte di Michele Gradi (pubblicato da M. $ repel in «Grada za povijest knjizevnosti hrvatske , voi. 1, Zagabria, 1897, e studiato discretamente da M. Budisaljevic : « Ocijena Palmoticeva epicedija o smrti Mihajla Gradica » in « Skolski Vje-snik •, Sarajevo, 1901, N.o 4, 5, 8), in cui il prediletto poeta dei croati vanta nei « martia pectora » dei Ragusei Romuleae genus alto a sanguine gentis ». Consimile materiale potrebbero offrire anche alcune poesie italiane pubblicate dal Makusev nell’ op. cit. Nè vadano infine scordate le cronache di Ragusa ! Queste sono quasi tutte scritte da esimi patrioti ragusei ed hanno una spiccata tendenza : dimostrare l’assoluta e secolare indipendenza della loro patria da qualsiasi ingerenza altrui. E tanto in ciò si infervorano da negare persino la supremazia veneziana dal 1202-1358, onde le critiche obbiezioni di Paulus Pisani : Num Ragusini ab omni iure Veneto a s. X usque ad s. XIV immunes fuerint , Parigi 1893. Nessuno però dei cronisti ragusei, nel suo zelo di mascherare ogni prova che rivelasse troppa dipendenza della repubblica loro da stati italiani o un attaccamento non confacente alla fierezza delle loro cronache, nessuno mai ha accentuato una certa qual forma di familiarità coi vicini popoli slavi, meno ancora un sentimento di fraternità statale... /. Strohal invece vorrebbe a tal punto storpiare il pensiero del toscano Razzi (in « Storia di Raugia ») da farlo considerare Ragusa e il suo Stato quale « Nazione slava », ma ciò non è che una delle solite storpiature e leggerezze degne della « Pravna povijest dal-matinskih gradova , Zagabria, 1913 (pag. 128), mentre il Razzi stesso ci conferma, con la cit. pag. dello Strohal, e 194 dell ed. Gelcich : « La qual consuetudine (cioè di predicare in italiano al Duomo) mantengono questi Signori Raugei, fra l’altre cagioni, per questa una singolare, cioè per dimostrar che eglino del sangue Romano e Italiano principalmente sono discesi». In proposito è caratteristico il pensiero di G. Resti, «il migliore e più autorevole cronista di Ragusa», al dire del suo editore S. Nodilo in «Monumenta spect. hist. Slav. mer. », v. XXV, il quale pur avendo — sempre secondo il Nodilo — non di rado il pensiero slavo (?) è fermamente persuaso, che i cittadini della piccola repubblica non si attengono agli Slavi circonvicini, ma sono Ragusei e nuli’altro (p. IX). E’ pure interessante questo passo del Tubero ne in «Commentarla » ecc. Unde nunc quoque maritimi Dalmatae a ceteris gentibus, quae mediterraneas Illyrici regiones in-colunt, Latini appellantur, non quia Dalmatae Romano Pontefici pareant, sed quia lingua habitu et litteris latinis utuntur... (Tom. I, p. 21-22 dell’ed. Occhi, Ragusa, 1784). E via cosi!