— 264 — Darsa, Luca Sorgo e quella Giulia Bona, cui il Nostro inviava un sonetto che comincia magnificamente cosi: Come se ’1 mio bel sol, ch’io piango e canto Sol per quetare il duol, che mi flagella... Chè il Bobali, se qualche volta rivela nei versi asprezze e disarmonie che non troviamo invece nel sempre elegantissimo Pasquali, per lo più riesce felicissimo nel far corrispondere al ritmo richiesto dal sentimento il ritmo del verso, lasciando quindi nel lettore un’ impressione che facilmente non si cancella. Sentite p. es., l’impeto di questo verso: Il tempo fugge, come strale o vento, e 1’ ampiezza e la lentezza di quest’ altro : Deh, mentre ancor tarda a venire il giorno. Accenno soltanto. Piccole cose, ma che rivelano le sue virtù di poeta, le quali generalmente meglio risplendono nei componimenti brevi, che nelle lunghe canzoni dove pochi pensieri sono stemperati in un diluvio di parole inutili, e la cui prolissità è a mala pena tollerabile. Però, come giustamente osserva il K. (p. 73), non che gli manchi l’attitudine a dominare anche un contenuto più vasto, come lo dimostrano le satire, che sono indubbiamente il miglior frutto della sua produzione poetica. Dei molti letterati d’Italia con cui fu in relazione, ricordiamo qui il Caro, il Napoletano Lodovico Paterno, mediocre artista, ma poeta che aveva una certa sua sincerità; Domenico Venier, che si può fino a un certo punto considerare come l’erede del Bembo, e godè, anche pel suo mecenatismo (rinomati erano i convegni nel suo palazzo di S. Maria Formosa), di fama tale, che il Tasso ricorse a lui non solo pel suo giovanile «Rinaldo», ma anche più tardi, per la «Gerusalemme Liberata >; Laura Battiferri, moglie dell’architetto Ammanati, un'accademica essa stessa,che lasciò poesie religiose e d’occasione, per la più parte encomiastiche, della quale un sonetto di risposta è stampato in fine al Canzoniere del Bobali, insieme a quattro del Monaldi e ad uno di Benedetto Varchi. A questa relazione col Varchi 10 attribuisco grande importanza, perchè ci dimostra che quelle del Nostro non furono, almeno tutte, come assai spesso tra i poeti petrarchisti che reciprocamente si incensavano senza neppur conoscersi, relazioni puramente occasionali e passeggere. Trattando di essa vedremo che profonda conoscenza egli ebbe della nostra letteratura, e come, pur non essendosi mai recato in Italia, fosse messo al corrente dai suoi amici delle primizie letterarie ancor prima della loro pubblicazione. Nel secondo dei due sonetti al Varchi (/?., p. 121 b), in cui esalta l’opera del Fiorentino, che ha fatto conoscere al mondo intero la gloria militare del « gran Lenzi » '), ricorre il verso L’alte opre, che co '1 senno, e con la mano, 11 quale ricorda così da vicino quello famoso della prima stanza della Gerusalemme *) Questo Lenzi, ricordato anche dal Monaldi nel sonetto al Varchi (Rime ecc. Ragusa, Occhi, 1783, p. 208 b), è quel Lorenzo Lenzi che del Varchi fu maestro negli anni giovanili, e gli salvò la vita a Firenze. Egli che divenne più tardi vescovo di Fermo e vicelegato avignonese, fu anche autore di poesie religiose. (Non potemmo controllare questi dati).