- 217 - Ancora. Parlando della fondazione del monastero benedettino di s. Grisogono di Zara, avvenuta nel 986, il N. si studia di metter bene in rilievo il fatto che anche prima di allora il monastero esisteva. Verissimo, ma una tradizione, forte quasi quanto una storia, vuole che prima della consegna della chiesa e dei beni di s. Grisogono all’abate Madio di Montecassino, la chiesa fosse < officiata da’ monaci egiziani i quali avevano anche il proprio monastero > (Bianchi, Zara cristiana, I, 297), tradizione che trova piena conferma nel fatto che in questi tempi, il culto di s. Antonio abate era in Dalmazia largamente diffuso. Anche a Spalato non poco ! Prima di passare a conclusioni di carattere generale, correggiamo ancora qualche inesattezza, temperiamo qualche illazione troppo ardita e colmiamo qualche lacuna. Se invece di avere indiretta notizia dal Loew dell’iscrizione delle porte di Montecassino, il N. (pag. 8) avesse avuto di fronte per lo meno il testo del Tosti, più ampie, e forse diverse, sarebbero state le sue idee circa la diffusione dell’ ordine in Dalmazia. Non ci pare provato che nel monastero di Rogovo si coltivasse sin dall’ XI secolo il glagolismo. 11 lavoro del Pavic sulla regola benedettina glagolitica del sec. XIV va riveduto. E poi non può bastare il fatto, anche se vero, che in quel monastero si traducessero nel secolo XIV le regole di san Benedetto in croato per inferire che si trattasse di un monastero glagolitico, quando in tutto l’Archivio antichissimo di Rogovo, conservatoci nella sua integrità, non un atto è, sino a quell'epoca, steso in glagolito. Un’altra volta, su la base di documenti che in questi ultimi mesi abbiamo rintracciati, ci occuperemo della venuta e della diffusione dei preti glagolitici nel contado di Zara; qui basti dar notizia chele nostre conclusioni combaceranno perfettamente con quelle alle quali il Cronia è giunto nella nota sua opera sul glagolismo. La data del 1059 proposta dal Raòki per l’atto fondazionale del monastero arbense di san Pietro in Valle non regge. Solo un cattivo paleografo (buon lettore, ma cattivo paleografo) come il RaCki poteva supporre che nel sec. XI un numero potesse formarsi per sottrazione: « nos putamus librarium in describendo anno ommisisse I inter L et X, autographumve MLIX Imbuisse» (Documenta, Zagabria, Accad. Jugosl. 1877, pag. 58). Nella rassegna dei monasteri benedettini al N. (p. 11) è sfuggito quello di san Stefano in Pasturano (Barbato di Arbe). Tra i centri nei quali fu diffusa la beneventana, il N. pone anche luoghi disabitati (Brauzo nella campagna zaratina, e non Obbrovazzo) e sobborghi di città. Altre volte con criteri di eccessiva larghezza comprende villaggi e campagne nei quali fu rogato un solo atto notarile, da scrittori certamente recativisi per l’occasione dai centri cittadini. Dimentica Arbe che aveva tre monasteri benedettini e il cui vescovo Vitale (1080 circa) scrisse di suo pugno nell’ < Evangeliario Spalatense» in beneventana le prime parole del giuramento prestato nelle mani dell’arcivescovo di Spalato. La questione del notaio Biagio, certamente uscito dalla scuola scrittoria della cattedrale zaratina, e pretesamente pratico di due scritture, ci pare che abbia bisogno di nuovi studi condotti direttamente sui documenti. Come dunque si vede, il N. ha errato in questioni di importanza fonda-mentale, e i suoi errori non poterono non ripercuotersi sinistramente in molte pagine del lavoro. Specialmente per ciò che riguarda l’area e la durata della be-