— 23ì — terre remote, non furono mai tanto intense quanto lo furono con le coste della Romagna, delle Marche, delle Puglie. Caduto l’esarcato nel 752 in mano ai Longobardi, l’importanza delle città dalmate, di Zara in particolare, andò crescendo; «Zara, allora, attirava a sè buona parte del commercio dell’Adriatico» (Brunelli). 11 fatto che le lesene compaiono nell’Istria già nelle costruzioni del VI secolo, non ci sembra argomento di speciale valore, chè la situazione geografica dell’ Istria in rapporto alla Penisola è ad un dipresso quella della Dalmazia. Piuttosto avremmo desiderato il parere dell’autore sulla decorazione esterna delle absidi nel s. Donato, che è fatta a lesene collegate da arcate cieche. U. Monneret de Villard, nella sua breve e alquanto superficiale operetta sull’architettura romanica in Dalmazia, asserisce essere il s. Donato la prima costruzione in cui le absidi vengono in tal modo decorate. Esso è certamente fra le prime, non la prima, chè la Pieve d’Ar-liano presso Lucca e il notissimo s. Pietro in Tuscania gli sono in tal riguardo quasi d’un secolo anteriori, essendo la prima dell’a. 729, il secondo dell’a. 739. Quanto al modello a cui si sarebbe ispirato il costruttore del s. Donato, il nostro autore preferisce rifiutare le analogie più evidenti, per abbandonarsi a difficili speculazioni di influssi politici. 11 Rivoira mette il s. Donato in relazione con il s. Vitale di Ravenna; il Gerber, d’accordo col Rivoira, pensa anche al Duomo Vecchio di Brescia; il Frey lo ritiene appartenente ad un gruppo di rotonde come il s. Vitale e la Palatina di Acquisgrana, cui sarebbe servita di modello una costruzione bisantina ora scomparsa; il Gurlitt io considera una costruzione indipendente che, forse, sta in relazione con costruzioni siriache; infine il Monneret de Villard vi riconosce lui pure una derivazione dal s. Vitale. All’infuori del Gurlitt, tutti, insomma, volgono gli sguardi a Ravenna, per lo meno non intendono perdere di vista questa città. Qui interviene il nostro autore; nessuno di questi tentativi — dice lui — è capace di sciogliere il quesito delle analogie, di conseguenza neppure la questione dell’ origine di questo tipo nella Dalmazia, sebbene, quando si consideri la pianta del s. Donato, del s. Vitale e della Palatina, i confronti che se ne fanno siano esatti. Tuttavia egli non ammette che i costruttori del s. Donato si siano direttamente ispirati al s. Vitale di Ravenna o alla Palatina di Acquisgrana. Abbandonando il campo delle ipotesi, dice che non si affannerà a discutere il problema, se il s. Vitale abbia servito di modello a tutte le costruzioni centrali, ma che il s. Vitale egli lo considera come un rappresentante di questo tipo di chiese, la cui origine è da cercarsi nell’ oriente. E qui si richiama all’autorità di G. Strzygowski, il quale ne scopre l’origine nella regione di Antiochia e considera la Ravenna del VI secolo come un sobborgo dell’arte aramaica; allo Strzygowski si unisce il Dehio, il quale della Cappella Palatina di Acquisgrana pensa la stessa cosa. Constatato in fine che questo tipo di costruzioni memoriali (esempio capitale il s. Donato, ma definizione, come vedemmo, sbagliata) era molto popolare al tempo di Carlo Magno, il nostro autore concreta il suo pensiero nelle seguenti conclusioni: tutte le costruzioni di tipo centrale sono limitate alla Dalmazia settentrionale; tutte datano dal IX secolo sino all’a. 878; tutte sono sorte per influsso ed autorità dei Franchi. Anzitutto, come ha dimostrato L. Karaman nel Bollettino di Spalato (annata XLV), la prima delle tre conclusioni non corrisponde al vero. Le altre due per lo meno difettano di solidità. La scoperta, fatta dal Jelic, di caratteri paleo-grafici franchi nell’ iscrizione sulla porta di s. Croce di Nona — data la leggerezza con cui questo studioso, ricco di dottrina al pari che di fantasia, costruiva le sue affermazioni — è argomento di scarso o nessun valore: se non sbagliamo, fu