— 89 - ed educate nel tumulto della piazza, da farle assidere quiete ed annuenti nel comodo stallo della sala del Gran Consiglio? 11 tumulto della notte di san Vito insegna di no. E di no insegnano tutte le altre tristi vicende della fazione bandita e del suo capo Baiamonte Tiepolo. Il quale, ripetiamo, e per la sua figura d’uomo d’armi e di governo, e per gli atteggiamenti dell’ animo suo, e per la sua tenacia, e per la sua forza e le sue debolezze, e soprattutto per non essere stato capace di sottrarsi a quella forza fatale che, bandito, lo traeva a ricalcare le orme di tutti gli altri capiparte banditi d’Italia, piuttosto che a un comune assassino, somiglia all'uomo politico dell’Italia trecentesca. Egli — in un certo modo — rende più italiana la storia di Venezia, facendola in questo periodo più profondamente assomigliare a quella di tutte le altre mille terre d’Italia, mai sazie di lotta fratricida, mai abbastanza piene di esili, di proscrizioni, di morti, mai abbastanza contente di ingerenze straniere. Come per Farinata — per nominarne uno tra mille — per lui supremo vituperio era l’essere cacciato e suprema gloria il ritornare. Ritornare, non pentito, non placato, non dopo aver in umiltà e soggezione trascorsa in esilio la pena impostagli, ma trionfatore, con Tarmi in pugno e nel cuore i propositi della più sanguinosa vendetta. A tutti i costi : a costo di dominare sulle sole rovine della patria, a costo di vederne distrutta la vita, sconvolte le bellezze, inaridite le fonti della ricchezza. E, pur di raggiungere questo fine, era prezzo dell’ opera fare ogni sacrificio, correre ogni rischio : andare in terra straniera, mendicare l’altrui soccorso, affannosamente peregrinare di regione in regione, di città in città, salire le scale altrui, spezzare l’altrui pane e quotidianamente offrire alla morte la vita. Senza esitazioni, senza pentimenti, senza rimpianti : che il tormento maggiore sarebbe stato sempre quello di scendere nella tomba senza aver appreso l’arte di ritornare. I buoni fati di Venezia, della Dalmazia e d’Italia vollero che codesta arte egli non l’apprendesse. E che le fortune dello stato veneziano restassero ben ferme nelle mani di chi seppe condurlo a vera grandezza.