— 25o — famose; quei letterati, che' con la squisita eleganza dei loro versi e della loro prosa s’imponevano alla stupita meraviglia di un Poliziano; e Ragusa dava segretari ai pontefici, amici e precettori ai Medici; e Zara dava alla lingua italiana il suo primo grammatico. Ma era specialmente nelle arti plastiche che la Dalmazia doveva gloriosa-mente affermarsi, lasciando in esse un solco così profondo e luminoso, che fare una compiuta storia dell’arte in Italia senza tener conto delle opere prodotte in Dalmazia o da Dalmati dalla seconda metà del secolo XV al principio del secolo XVI, è affatto impossibile. Da questo acceso fervore di vita intellettuale si leva sullo scorcio del Quattrocento la nobile figura di Elio Lampridio Cerva, il dotto umanista amico di Pomponio Leto, ad affermare altamente la romanità della sua Ragusa, rivendicando i diritti dello spirito latino su questa sponda contro gli slavi, che con la loro infiltrazione, sensibilmente accentuatasi in questo periodo, erano bensì riusciti a produrre un reale spostamento nei valori quantitativi etnici, ma non già a soppiantarvi l'antica razza e civiltà latina. La quale non solo seppe saldamente mante-nervisi, ma mentre si assumeva il compito di far opera civilizzatrice in mezzo all’elemento slavo, avocava soltanto a sè la tutela dello spirito nazionale della provincia, che era e rimase indissolubilmente legato all’Italia. È in questo ambiente così saturo di latinità, che improvvisamente sorge, senza antecedenti quasi, la prima produzione poetica in lingua slava in Dalmazia. Ma su ciò stimiamo inutile dilungarci, considerando che i pochi poeti che tra la fine del sec. XV e il principio del XVI vi si dedicarono, erano quasi tutti appartenenti a quella nobiltà ragusea che rivendicava proprio allora la sua discendenza da Roma, che questa poesia, il di cui scarso valore non c’ è chi non riconosca, tutto, fuorché la lingua, prese dalla letteratura italiana, e che in fine essa per esplicita confessione di dotti slavi (si veda p. es., ad onta di limitazioni assurde, Jagic, Trubaduri i najstariji hrvatski lirici, in Rad, IX, Zagabria, Acc. jug., 1869, p. 216), non può esser considerata veramente un prodotto nazionale croato. Possiamo aggiungere ancora, che una delie più note di queste poesie è l’esaltazione dell’Italia fatta da Mauro Vetrani. Per quanto riguarda i reciproci rapporti fra Dalmazia e Italia nel corso del secolo XVI, le cose si mantennero suppergiù come nel secolo antecedente. Ogni fenomeno della vita italiana trova pronto riscontro in questa nostra terra, come in ogni altra regione della Penisola; avemmo anche noi le nostre accademie, le nostre donne letterate, la nostra poesia bucolica; anche da noi la società colta divenne centro dell’ imitazione petrarchesca. * * * Dei concetti da noi qui brevemente illustrati si sforza di sembrare non del tutto persuaso il prof. Duro Korbler, che alla poesia italiana del secolo XVI in Dalmazia ha dedicato uno studio di oltre un centinaio di pagine negli Atti dell’ Accademia jugoslava di Zagabria. Ma a malgrado di ciò, della sua certo non agevole fatica noi dobbiamo essere grati al professor Korbler, il quale pur si mostra equanime abbastanza per riconoscere che nel secolo XVI, come già da lungo tempo, le città costiere della Dalmazia erano inondate di cultura italiana, che quivi fioriva rigogliosa una letteratura italiana, avendovi poste saldamente le radici, e che di questa era centro la società colta, che è quanto dire il ceto dirigente, delle varie città (p. 1).