— 266 — lemme. Ma anche non volendo ammettere questo che a noi par certo, che il Bobali, per un modo o per l’altro, essendo in relazione con letterati che conobbero i lavori giovanili del Tasso, li abbia potuti leggere e se ne sia quindi servito per i suoi versi, resta libero il campo a un’altra supposizione: che il verso di cui s’è discusso sia stato posteriormente introdotto nel sonetto, secondo la consuetudine dei petrarchisti che, seguendo l’esempio del Bembo (la storia dei famosi cassetti è troppo nota), correggevano, limavano, mutavano continuamente i loro versi. E veniamo alle satire, che come abbiamo accennato, devono essere considerate il frutto migliore dell’ ingegno poetico del Bobali. 11 K. nota, con la solita competenza, che esse pel metro non si differenziano punto « dai capitoli del Petrarca raccolti nella terza parte del suo Canzoniere, che portano il titolo Trionfi in vita e in morte di madonna Laura » (p. 91): Sic, e parole non ci appulcro! Queste satire si riallacciano direttamente alle ariostesche, avendo in comune con esse 1’ andamento discorsivo e confidenziale, la vivacità della rappresentazione, la precisa particolarità del dire; come quelle, sono una fonte preziosa per la conoscenza della vita, degli studi, delle amicizie, dell’indole del nostro poeta, che raramente si fa il « castigator morum » della società in mezzo a cui vive, limitandosi piuttosto a coglierne con amabile e garbata canzonatura le debolezze e i difetti, di cui non si lascia sfuggire neppure i più minuti particolari, in merito forse della sua sordità, che gli permette di concentrarsi, come afferma egli stesso nella satira al Ciuffarino (/?., p. 153 e sgg.): Dite, eh’ io sono un Sordo, che tutf odo ; E ’nerme con Fortuna ognor guerreggio, E negli affanni vivo allegro, e godo, dove ci si rivela anche questo lato dell’ indole del Nostro, che pur negli affanni trova il modo di allegramente vivere. Mentre alcune di queste satire hanno un contenuto affatto serio e sono niente più di lettere scritte all’uno o all’altro amico, nelle quali guizzano qua e là l’arguzia e lo scherzo di qualche osservazione, in altre predomina quell’ elemento comico che informa alcuni sonetti, la cui perfetta comprensione c’è talvolta ostacolata dall’ ignoranza delle circostanze in mezzo a cui nacquero e alle quali si riferiscono. Alcune figure comiche efficacemente ritratte dal Bobali, come i «duo Anima’ da gioco» della satira HI, di cui sarebbe troppo lungo raccontare tutti i loro sciocchi detti, e fatti », sono vive e parlanti. Naturalmente in questi componimenti non mancano le invettive, specialmente contro i detrattori della sua fama di poeta, che pare non siano stati pochi. Interessante per la conoscenza delle letture predilette del Bobali, molto più varie che il K. non mostri di sospettare, è la satira già da noi citata, in cui il poeta descrive ad alcuni amici la sua vita a Stagno (Rp. 139 e sgg.). I versi: Innanti a cena or di Gualtier ni’ adiro, Or del mastro Simon mi beffo, e rido, Ed or di Lisabetta ò gran martiro; E talor di chi sparse in ogni lido Le sue dolc’ ire, e dolci paci, godo ; O pur di chi a Ruggier diè più alto grido, contengono non solo allusioni ad alcuni personaggi del Decamerone, che dimo-