— IBI — pag. 49. Dice l’autore: «È assai credibile che sull'isola di Arbe gli insediamenti dei liburni assomigliassero assai a quelli degli odierni contadini che abitano nei casali dell’isola». Congettura assai azzardata e priva di fondamento dopo i molti ed esaurienti studi di Carlo de Marchesetti. Vedasi «Notizie degli Scavi del Ministero della Pubblica Istruzione», Roma, ultima puntata dell’anno 1924. pag. 50. Tutto quello che l’a. dice della battaglia avvenuta nel 365 a. C. nelle acque di Arbe o Veglia è pura fantasia. pag. 52-58. Un capitolo intero è intitolato «Arbe colonia romana». Deplorevolissima l’ignoranza dell’autore che non sa distinguere tra «colonia» e «municipium». In tutto il capitolo poi, ove si eccettui una pedestre esposizione della costituzione municipale romana, che si può leggere in qualunque libretto di scuola, non si fa altro che ricopiare dal «Corpus» del Mommsen le iscrizioni latine provenienti o esistenti in Arbe e darne la traduzione. Anche come elenco però, questo dell’a. non è completo: vi mancano p. es. le iscrizioni di Elio Leone, di Focione, di Turranio Felice, Turselio Stacto e di Antistia Tallusa, riprodotte dal PASSERI in «Continuazione delle osservazioni sopra alcuni monumenti greci e latini del Museo Nani», sezione quarta, Venezia, 1760, pag. 42, 43, 45 e 46. pag. 61-2. L’a., dissentendo anche dai più gravi storici croati, è della decisa opinione che, alla prima invasione avaro-croata, anche Arbe fu distrutta. Da questa opinione, che non è possibile difendere nemmeno per le città costiere, si scostano ormai tutti gli storiografi più seri. Per le isole l’a. è il primo ad avanzarla, senza però dir niente che la possa corroborare. — L’a. poi parla di una «alleanza avaro-slava», mentre è acquisito che gli slavi vennero nella penisola balcanica non come alleati, ma come schiavi degli avari. pag. 64. Supremamente ridicola l’asserzione che le città romane elencate dal Porfirogenito fossero rinnovate (!) dai greco-latini (sic!) dell’esarcato di Ravenna in una agli slavi della Dalmazia. Strano però, — e l’a. lo riconosce — che queste città si costituissero a municipi romani, senza che il diritto costituzionale slavo non potesse nemmeno in minima parte penetrarvi. E strano ancora che queste città semislave dovessero poi (880) pagare ai principi croati dei tributi. pag. 67. Non conosciamo la fonte dalla quale l’autore trasse la notizia che le «laudes» romane fossero nei comuni italici della Dalmazia cantate in onore del re Tomislavo. pag. 68-69. Tutto il quadro che l’a. traccia della costituzione, della dipendenza, delle condizioni sociali, economiche, culturali delle città romane della Dalmazia nel sec. X è pura fantasia.